Ci aveva pensato Ernesto Ferrero qualche mese fa nel suo Album di famiglia (Einaudi) a ripercorrere gli anni effervescenti e fortunati dell’editoria italiana del Novecento. Fortunati per chi c’era, per chi quel momento e quelle esperienze li ha vissuti da vicino, con la testa e con il cuore, per chi – nel piccolo come nel grande – si è trovato ad essere una forza propulsiva e virtuosa di un mondo in cui i libri, le idee, la letteratura e i grandi maestri convivevano e si confrontavano.
Oggi, mentre a dettare letture e tendenze sono i BookToker a suon di hashtag #BookTok, i ricordi e gli aneddoti personali di chi è stato parte di quell’universo culturale sono impagabili.
Ad esempio quelli di Roberto Cazzola che nel suo saggio ritrae da vicino i suoi maestri Giulio Einaudi, Roberto Calasso, Roberto Bazlen e Giulio Bollati. Torinese, classe 1953, dal 1974 responsabile della germanistica Einaudi, dal 1995 per Adelphi, autore di diversi romanzi (Lavati le mani, Elmar e La delazione editi da Casagrande), ci regala il racconto schietto, intimo, a tratti divertente, di un mondo ormai scomparso assieme ai suoi protagonisti. Di Giulio Einaudi ci dice che «non poteva stare da solo», ricorda «il suo amore per le rose e i fiori di Perno», la sua totale identificazione con la casa editrice, la sua commozione per la morte dell’«altro Giulio», l’amico e rivale Bollati, al quale era «debitore di “moralità editoriale” e di rigore “nel saper distinguere il buono dal falso”». Ne ricorda l’abitudine a pescare nei piatti degli altri senza chiedere il permesso «come un padre generoso, o come un despota, un sovrano assoluto e ghiribizzoso». Di Bazlen, invece, ricorda che per conoscere e giudicare un libro il fondatore di Adelphi riteneva indispensabili una «testa fredda» e «occhi caldi». Per lui la qualità del racconto è data dall’«Erlebnis: l’esperienza vissuta, l’esperienza diretta» e citava come esempio la Novella degli scacchi di Zweig. Altro suo concetto fondamentale è quello della Verwandlung (trasformazione) che la lettura come un’«opus alchemica» è in grado di determinare in noi.
Cazzola riflette anche sulla missione della letteratura, del mestiere di editore e di germanista. Quello di «fare memoria», di scavare nel ricordo, nella storia, nello sforzo di restituire «una risposta etica alle tragedie e alle ingiustizie del passato, come appuntamento fra le generazioni». A suggerirgli questo pensiero è il fil rouge che si estende tra le due esperienze, einaudiana prima, adelphiana poi. L’autore ci racconta di come Vertigini di Sebald, fosse stata rifiutata dal Consiglio editoriale di Einaudi, e di come invece Adelphi avesse accolto Austerlitz. «La letteratura è il tentativo di una restituzione postuma attraverso un romanzo. Una restituzione narrativa, intesa a conciliare empatia e rigore storico, finzione e archivio». A questo va aggiunta «un’esigenza di autenticità e poesia» che ben riscontriamo nell’opera di Anne Weber Annette, un poema eroico (Mondadori, 2020). Dunque la grandezza dei testi e di chi li promuove sta nel saper valorizzare il passato ma al contempo – dice Cazzola – saper «offrire uno sguardo prospettico» anticipando «i movimenti tellurici al di sotto della superficie». E «a quegli autori presaghi ai quali è data la capacità di “indovinare il mondo”, bisogna prestare ascolto».
L’autore infine condivide una selezione dei testi editoriali per Adelphi in cui emerge il legame fra «la teoria e la prassi editoriale». Nel 2004 a proposito di Das Buch des Vaters di Urs Widmer scrive: «è un romanzo che vorrei vedere presto in “Fabula”»; nel 2010 suggerisce Justiz e Grieche sucht Griechin di Dürrenmatt «potessimo avere in catalogo il Grande Elvetico, restituiremmo al pubblico un gigante che – negli ultimi anni in Italia… – ha latitato».