Meglio così? Così!

Il nostro rapporto con la punteggiatura è a tratti piuttosto difficile, come racconta Massimo Arcangeli nel suo libro dedicato al punto esclamativo
/ 03.07.2017
di Mariarosa Mancuso

Vladimir Nabokov pensava che sarebbe stato utile un segno tipografico per indicare un sorriso: «Una parentesi tonda rivolta all’insù che mi piacerebbe ora tracciare per rispondere alla sua domanda». Mezzo smile, diciamo con il senno di poi. Resta il dubbio se il sorriso fosse sincero, oppure sfottente (com’è probabile conoscendo lo scrittore russo che volle farsi americano).

Nel 1887 il giornalista e scrittore satirico Ambroise Bierce (suo il Dizionario del diavolo, che ben si accoppia con la sua misteriosa scomparsa durante la rivoluzione messicana, era il 1914, si trovava lì come giornalista) suggeriva un segno per la risata sguaiata. Sempre il mezzo smile, la bocca sorridente senza gli occhi, da aggiungere dopo il punto come segno di ironia.

La zia di Ralph Reppert, oscuro cronista di un quotidiano del Maryland, negli anni 60 finì sul «Reader’s Digest» per le «espressioni facciali» che usava nelle lettere. Si chiamava Evelyn, scriveva così: «Tua cugina Vernie è di nuovo una bionda naturale –)». Secondo lei, rappresentava una lingua conficcata nella guancia, e se ne capisce benissimo il significato anche senza sapere che tongue-in-cheek significa «ironia garbata».

Per restare in Italia, Andrea Zanzotto sognava punti di sospensione curvi – pensate alla forma di un dosso. Carlo Dossi lamentava l’inesistenza di un segno di interpunzione intermedio tra la virgola e il punto e virgola, suggerendo due virgole messe una sopra l’altra (pensate a un punto e virgola fatto con due virgole). Michele Mari oltre al punto esclamativo e all’interrogativo vorrebbe il «punto lacrimale», per indicare «un dolore contenuto nella forma ma di devastante portata cosmica». (Non ne troviamo nessuno nel suo ultimo e bellissimo romanzo Leggenda privata, ci starebbero bene). Giuseppe Pontiggia apre e chiude le parentesi senza parole dentro, Alessandro Baricco usa lo slash per i bruschi cambi di scena.

Abbiamo fin qui saccheggiato La solitudine del punto esclamativo di Massimo Arcangeli, uscito dal Saggiatore. Non sono le uniche stranezze – c’è un’intera pagina su invenzioni più bizzarre come il punto d’irritazione, il punto di simpatia, il punto di ironia. E un’altra bella citazione di Giacomo Leopardi che nel 1821 lamentava «l’ingombro di lineette, di puntini, di spazietti, di punti ammirativi doppi o tripli», e immaginava che si sarebbe di lì a poco tornati alla «scrittura geroglifica»: segni per rappresentare idee.

Un invito a nozze per noi convinti che tutto sia già successo almeno una volta, quindi non conviene agitarsi (in contrasto con chi invece vede l’apocalisse a ogni angolo e a ogni svolta di calendario, quindi si preoccupa per ogni cosa nuova). Lasciando per un attimo la punteggiatura, ricordiamo che Karl Kraus nella Vienna di inizio Novecento litigava con gli antivaccinisti. Tornando alla punteggiatura, va detto che il volume di Massimo Arcangeli spazia dalle numerologie della Divina Commedia al gioco del Monopoli, dai linguaggi cifrati alla cabala, dagli acrostici all’origine dell’hashtag – #, ricordate quando ancora si chiamava «cancelletto»? – alla chiocciola degli indirizzi e-mail. Ricco, ma più adatto a un corso universitario che alla lettura sotto l’ombrellone.

Avevamo subito comprato, quando uscì, Moby Dick di Melville tradotto in emoji – le onnipresenti faccine, ormai entrate nell’uso anche di chi ha superato i tredici anni. Non era per niente chiaro, alla faccia della lingua universale invocata dai cultori (ma che lingua universale è una che man mano sta introducendo, oltre alle faccine gialle, faccine in ogni sfumatura di pelle?). «Chiamatemi Ismaele» era tradotto con un telefono. Un vecchio telefono da tavolo, con cornetta e tastiera. Anche questo dettaglio si presta all’ironia, che in assenza del segno di interpunzione corrispondente è sostituita dall’apposita faccina (risultato: nessuno più fa battute, crescerà una generazione permalosa e sprovvista di senso del comico).

Conosciamo una persona che mette i punti e virgola anche negli sms (noi ci fidiamo poco anche a usarli negli articoli, nascondendoci dietro Cormac McCarthy: «credo nei punti fermi e in qualche virgola occasionale». Riceviamo email da aspiranti giornalisti che non riescono a piazzare – neppure una volta, neppure per sbaglio – uno spazio dopo il punto fermo. Grande è il disordine sotto il cielo. Conviene portarsi in spiaggia lo splendido racconto di Anton Cechov intitolato Il punto esclamativo. Ovvero: quando la punteggiatura ancora metteva ansia.

Bibliografia
Massimo Arcangeli, La solitudine del punto esclamativo, Il Saggiatore 2017, 336 pagine