Medea Kali, una donna senza tempo

Al San Materno un classico che invita a riflettere
/ 13.05.2019
di Giorgio Thoeni

Il mito e la nascita della tragedia sono temi che continuano ad affascinare il territorio teatrale con un mondo in cui l’azione si concentra su un solo personaggio che spesso dà il nome all’opera. Come Medea. Scritta da Euripide e rappresentata ad Atene nel 431 a.C. (circa) fra tutte le tragedie è quella che maggiormente invita a essere riletta e trasformata in un monologo. La letteratura occidentale ce ne ha fornito innumerevoli esempi. Una delle ragioni, profondamente ancorate all’inconscio dell’uomo, è la straziante dimensione della sua terribile vendetta, di donna ma soprattutto di madre. Il suo sanguinario matricidio è destinato a segnare l’immaginario collettivo e a sconfinare nell’universo del femminile.

È quello che si è prefissato anche lo scrittore francese Laurent Gaudé che nel 2003 si è impossessato del mito per raccontare la storia di una donna in tutta la sua forza poetica. Lo ha fatto situandola alle radici del tempo fra Occidente e Oriente, sommandola a un’altra inquietante origine, quella indiana, e trasformandola in Kali, dea hindu della morte, della danza, dell’amore e del male. Divinità dal volto spaventato e dalle molte braccia, Kali ha in mano simboli di una cosmogonia oscura, ancestrale, al collo porta una collana di teschi.

Ribattezzato il personaggio in Medea Kali, vediamo tornare la protagonista a Corinto anni dopo la sua fuga ma ancora carica di vendetta e con una ferita che si trasforma in follia d’amore, in un’insostenibile e morbosa sensualità, in una incessante ricerca di pace. Le sue parole sono grida senza tempo, sono l’urlo di una femminilità che si dibatte nella crudeltà, di allora e di oggi, per un’affermazione sociale per la quale ci si deve ancora battere per conquistare rispetto, considerazione, spazio, uguaglianza.

Una riflessione originale che Tiziana Arnaboldi ha voluto aggiungere alla programmazione del Teatro San Materno, solitamente votata alla danza contemporanea. Una scelta forse insolita ma non del tutto spiazzante. La Medea Kali che è stata proposta in un certo senso si è infatti rivelata una coreografia di parole attorno all’antico mito, una contaminazione fra miti e leggende, un monologo acceso lungo un percorso di immagini circolari e contrastanti, a cavallo fra Eros e Thanatos, dove il buio luttuoso di Medea si trasforma nel luccicante costume della dea hindu in un gioco attoriale restituito dalla sobria intensità recitativa di Viviana Lombardo.

Una prova del Teatro Libero di Palermo per la regia diretta di Benno Mazzone (anche curatore della traduzione) che la platea ha seguito con molta attenzione, salutandola con numerosi applausi.