Matter, un ribelle altruista

Il fascino irresistibile del fuorilegge: Bernhard Matter, il «Robin Hood svizzero», e il sottile confine tra ribellione e repressione all’interno della società civile
/ 31.05.2021
di Benedicta Froelich

Si sa, agli occhi di molti stranieri la Svizzera è spesso simonimo di senso civico portato quasi all’eccesso: un Paese per certi versi «inquadrato», i cui cittadini, nell’immaginario popolare, si distinguono per essere ligi al dovere e senza troppi grilli per la testa. Eppure, contrariamente ai più ovvi cliché, nel corso dei secoli la Confederazione Elvetica ha dato i natali a un insospettato numero di ribelli: figure che si sono opposte alle regole del vivere comune – tra cui, a volte, veri e propri fuorilegge, nella più pura tradizione della ballata folk di un tempo. Alcuni di essi conservano a tutt’oggi un posto d’onore nella memoria collettiva  – come il leggendario «ladro gentiluomo» Bernhard Matter (1821-1854), originario della cittadina di Muhen, nel Canton Argovia.

A tutt’oggi, il «caso Matter» sembrerebbe rappresentare un’opportunità succosa per qualsiasi psicologo: di fatto, colui che un suggestivo ritratto d’epoca ci mostra come un giovane affabile e piuttosto elegante, dall’aria arguta e ben poco minacciosa, sembrava, fin dall’adolescenza, ossessionato dal furto in tutte le sue forme.

Arrestato per la prima volta appena quindicenne per aver derubato una gioielleria di Aarau, negli anni seguenti si ritrovò spesso in prigione; tanto che nemmeno il matrimonio con una ragazza «perbene» sarebbe stato sufficiente a impedirgli soggiorni più o meno prolungati dietro le sbarre, durante i quali avrebbe però affinato il proprio carisma e talento di negoziatore, divenendo una personalità piuttosto influente all’interno dei penitenziari.

Una volta rilasciato, Matter si rese rapidamente conto di come il suo banale mestiere di muratore non potesse competere con il fascino che l’attività criminale esercitava su di lui  – e, messa insieme una piccola banda, si diede così ai furti con effrazione, facendo delle regioni settentrionali della Svizzera il suo terreno di caccia. La prima di tante retate della polizia, alle quali presto avrebbe fatto l’abitudine, sembrò mettere fine alle ambizioni criminose dell’ormai celebre Bernhard: i giornali, però, lo presentavano già come un diabolico leader criminale, in grado di influenzare i compari al punto da indurli a compiere qualsiasi misfatto per lui – un’idea che certo doveva qualcosa al fascino innato di cui il giovane sembrava provvisto. 

Tuttavia, Matter stava ormai inaugurando una nuova carriera come «artista della fuga», inanellando una serie di evasioni che avrebbero fatto impallidire perfino Houdini. Confrontato a una situazione pressoché disperata  – una condanna a sedici anni in condizioni brutali in una cella d’isolamento di Baden – Bernhard evase dopo appena cinque mesi, e, dopo rocambolesche avventure e svariati furti tra Muhen, Berna e Basilea, venne iniziato all’arte del contrabbando da un certo Kemar; nel mezzo, un matrimonio (sotto falso nome) con un’alsaziana ignara dei suoi traffici, e l’arresto da parte della polizia di Erlinsbach, nel febbraio 1851, conclusosi con il ferimento involontario di un passante (a causa di un colpo d’arma da fuoco partito nel corso di una colluttazione).

Un evento che, secondo le autorità, provava oltre ogni dubbio la pericolosità di Matter: il quale, dopo altre due evasioni e nuovi furti, venne infine condannato a vent’anni, da trascorrersi in un luogo a prova di fuga come la fortezza di Aarburg. 

E benché le molteplici fughe gli fossero ormai valse una reclusione in condizioni durissime, costantemente incatenato nella propria cella, proprio questo tragico sviluppo gli offrirà l’occasione per la sua più grande impresa: nella notte di tempesta tra il 10 e l’11 gennaio 1853, dopo settimane di preparazione, Bernhard sfuggì ai secondini del castello di Aarburg, servendosi di una banale intercapedine. Dopo quest’impresa apparentemente impossibile, il fuggiasco si lanciò in un rocambolesco quanto rischioso gioco a rimpiattino con la polizia, sempre alle sue calcagna tra un furto e l’altro; nel frattempo, sorta di Robin Hood locale, viveva dell’ospitalità dei popolani, ai quali donava gran parte dei suoi «guadagni».

Seppur ricercato senza sosta in patria, Matter non riuscì ad abbandonare la Svizzera, né l’amata Argovia; e proprio qui, a Teufenthal, verrà arrestato per l’ultima volta, il giorno di Capodanno del 1854. La rabbia e lo sdegno suscitati nelle autorità dal continuo escapismo di Matter (e dal suo talento per lo sberleffo) non tardarono a presentare il conto, spingendo i giudici a condannarlo a morte: e il 24 maggio 1854, Bernhard Matter venne pubblicamente decapitato a poca distanza da Lenzburg.

Una mossa destinata a rivelarsi controproducente, poiché, come sempre accade con le leggende popolari incentrate sulla figura del fuorilegge, la vicenda di Matter divenne, per i contemporanei come per i posteri, perfetto esempio del destino infausto riservato a tutti coloro non siano assimilabili alle regole della società – a riprova del fatto che a pagare sono spesso i cosiddetti «cani sciolti», in grave contrasto con l’immunità dei grandi burattinai del crimine.

La natura mansueta del «playboy» Matter, refrattario a ogni forma di violenza, contribuì a farne un antieroe agli occhi dei connazionali; e in effetti, vista con occhi moderni, la sua condanna appare francamente sproporzionata per un ladro che, per quanto recidivo, non aveva comunque mai assassinato nessuno – sollevando molti quesiti sul senso della pena di morte, e sul suo ruolo e valenza dissuasiva nel passato più o meno recente del nostro Paese. 

Forse proprio in questo, più ancora che nell’innegabile fascino romantico rivestito dal ladro gentiluomo, sta l’attuale rilevanza di figure come quella di Matter – le quali, spingendo a interrogarsi sull’eterno dilemma insito nel rapporto tra il «delitto» perpetrato dall’individuo contro la società e il «castigo» che la stessa dovrebbe imporgli, divengono opportunità per mettere in discussione la linea di demarcazione tra la libertà istituzionale e i limiti (più o meno giustificati) che a essa si contrappongono.