La mecenate Graziella Lonardi Buontempo (Youtube)


Maternalità diffusa a servizio dell’arte

Mecenatismo/2 - Graziella Lonardi Buontempo nel ricordo di Achille Bonito Oliva
/ 15.03.2021
di Ada Cattaneo

Graziella Lonardi Buontempo (1928-2010) rappresenta un esempio felice di quello che il mecenatismo può rendere possibile. Fu lei a fondare nel 1970 gli «Incontri internazionali d’arte», un’associazione che, grazie alla collaborazione con i più eminenti intellettuali italiani (Moravia, Argan, Arbasino, …) e artisti internazionali (Beuys, Christo, Rauschenberg, Boetti, …), ha organizzato di volta in volta mostre, conferenze, programmi di sostegno alla cultura, in ogni settore del contemporaneo.

Conobbe il critico d’arte Achille Bonito Oliva alla Biennale di Venezia del 1970 e con lui organizzò, fra l’altro, due delle mostre chiave di quegli anni: Vitalità del negativo a Palazzo elle Esposizioni e Contemporanea, nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese a Roma.

Bonito Oliva ricorda la figura di questa mecenate, capace di promuovere la creatività, sempre nel rispetto del lavoro di chi le stava accanto.

Qual è il suo ricordo di Graziella Lonardi Buontempo?
Lei mi permetteva apertura e sensibilità. Insieme abbiamo lavorato per creare gli «Incontri internazionali d’arte», che sono stati il mio braccio armato. Attraverso quell’associazione ho potuto realizzare tutti i miei progetti inediti, anche i più problematici, affrontando competizioni e dibattiti. Furono una palestra culturale per tutti coloro che venivano a seguirci: spingevamo il pubblico a un lavoro di ascolto delle opere, che poi avrebbero fatto scuola.

In che modo Graziella Lonardi favoriva il suo lavoro di critico?
Fra di noi c’erano consonanze e affinità. La Lonardi mi ha rivelato il valore di un mio lato infantile che oggi continuo a coltivare. Mi spingeva a guardare al futuro. Non mi sono mai beato di ciò che avevo raggiunto, ma guardavo ai progetti futuri, alla quale lei si rassegnava definitivamente e in maniera affettuosa, generosa e vitale

Quando il mecenate affianca un processo culturale, cosa deve fare per favorirlo?
Fare quello che faceva la Lonardi, essere rassegnata e permettere agli altri di realizzare. L’Italia è un paese che ha alle spalle tradizioni di grandi mecenati nel corso dei secoli, ma nella modernità questo è diventato anche frutto di coraggio. Mentre prima il mecenatismo era frutto di un potere economico e politico, quando noi abbiamo cominciato – negli anni Settanta – quello che abbiamo fatto era più il risultato di un atto di coraggio teorico da parte mia e organizzativo dalla parte della Lonardi.

Aveva degli artisti che seguiva con particolare affetto?
No, lei era appassionata di tutti gli artisti che incontrava attraverso le mostre che organizzavamo. In questo senso aveva una sorta di maternalità diffusa.

Affiancava a queste attività una sua privata attività collezionistica?
Era inevitabile. Abbiamo lanciato molti artisti, creando delle situazioni che avrebbero poi avuto esiti internazionali. Ha favorito anche la nascita di nuove collezioni.

In questo momento ci sono figure paragonabili alla Lonardi?
No. Questo è un momento di sosta in cui non c’è in previsione la presenza di nuove figure. Tutto questo è avvenuto in un’epoca che favoriva quelle modalità.

La peculiarità di Graziella Lonardi fu di combinare attività culturale e mecenatismo. Come si destreggiava entro questi ruoli?
Esiste una divisione dei ruoli nel nostro ambito: come esiste nella vita sociale, così nella vita culturale. C’è il critico che teorizza e la mecenate che organizza. Una divisione dei ruoli che gratifica tutti i soggetti attivi.

Ha parlato di affinità e consonanze fra di voi. Quali erano?
C’erano affinità che nascono dall’antropologia, derivanti dall’essere entrambi cresciuti in una cultura che proveniva da Napoli. Quindi il senso dell’avventura, della curiosità, dell’ironia. Quindi c’era una leggerezza e allo stesso tempo una consapevolezza progressiva entro cui noi operavamo, constatando infine i risultati senza averli previsti, in quanto noi operavamo anche secondo formule nuove e non garantite dalla tradizione.