Dove e quando
Mario Sironi. Sintesi e grandiosità, Museo del Novecento, Piazza Duomo 8, Milano. Orari: ma-me-ve-sa-do 10.00-19.30; gio 10.00-22.30. Fino al 27 marzo 2022. www.museodelnovecento.org


Mario Sironi, sintesi e grandiosità

Più di cento opere regalano una lettura inedita dell’uomo e dell’artista
/ 21.02.2022
di Ada Cattaneo

Leggendo la vicenda di Mario Sironi sembra di potere scorgere una persistente tensione, che ritorna nelle tante fasi della sua vita, fra senso del rigore ed esigenza di libera espressione artistica. A sessant’anni dalla morte il Museo del Novecento di Milano ne ripercorre il percorso artistico con 110 opere estremamente eterogenee, in grado di raccontare il continuo lavoro di ripensamento che egli ha svolto sulla propria poetica. Emerge chiaro il suo personale modo di aderire e al contempo distanziarsi dalle molte correnti artistiche che hanno determinato la scena italiana nella prima metà del Novecento, dal Futurismo alla Metafisica, da Novecento alla pittura monumentale.

Fin dagli anni della formazione, prima nella nativa Sardegna e poi a Roma, quella tensione si intravede già. Quando il padre ingegnere avrebbe desiderato la stessa strada di studi tecnici per il figlio, sarà una forte crisi depressiva – episodio non isolato – a impedire che le cose vadano come previsto. Sironi si trova così a dovere fare i conti con le sue inclinazioni artistiche. Si iscrive alla Libera accademia del nudo di Via Ripetta a Roma: qui avviene l’incontro con Giacomo Balla che sarà il suo maestro e che segnerà in maniera determinante l’esordio di Sironi nell’arte figurativa.

Balla aveva avuto modo di trascorrere un lungo periodo a Parigi e di raccogliere le novità artistiche che andavano affermandosi nella capitale francese: era il 1900 e la città stava diventando la meta prediletta dagli artisti. Si stava allora determinando quell’irripetibile costellazione di nomi che di lì a poco avrebbe dato luogo alle Avanguardie. Balla riporterà per esempio in Italia le novità nel campo della fotografia e le riflessioni sulla percezione del colore avvenute nell’ambito del Divisionismo, recepite anche dal suo allievo. Dal 1903 infatti Sironi frequenta Balla anche al di fuori del contesto scolastico: nel suo studio incontra anche Gino Severini e Umberto Boccioni. Eppure, di lì a poco, nel 1909 non sarà fra i firmatari del Manifesto del Futurismo: pur accogliendo molti spunti stilistici e frequentando quello stesso mondo, l’estetica di Sironi ha delle radici profonde nella classicità. Spesso questa si ritrova anche in termini di soggetti, ma soprattutto di armonia delle forme nella rappresentazione del corpo umano: la scultura greca, con la riflessione sulle proporzioni che essa comporta, sarà sempre fra le sue grandi passioni. Il culto della perfezione antica, invece, non è certo contemplato da Marinetti e dagli altri che scrivono: «Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri».

Sironi partecipa alla Prima guerra mondiale, dal 1915 al 1919, combattendo in prima linea. L’esperienza lo porterà a modificare in maniera sostanziale la sua idea di uomo soldato, passando dalla rappresentazione di un eroe intrepido a quella di un individuo che è al contempo vittima e fautore di strazio e distruzione. Al termine del conflitto, rientrando a Roma viene per la prima volta in contatto con la Metafisica, influsso che determinerà il suo lavoro degli anni Venti e ancora negli anni Trenta. Subito però decide di spostarsi a Milano, che tanto lo attrae: per quanto la città sia spigolosa e dura, costringendolo almeno inizialmente a condizioni di grande povertà, è un luogo di profonda ispirazione. Ci arriva solo, lasciando per ora la famiglia a Roma: è un autore noto ancora solo fra la ristretta cerchia degli amici, che non può contare su di un proprio mercato di collezionisti e fatica a mantenersi. Eppure è proprio dall’osservazione e dalla permanenza a Milano che nasceranno i «Paesaggi urbani», fra le produzioni più famose di Sironi. Periferie quasi deserte dove l’autore si concentra sulla descrizione delle strade vuote e degli edifici, diventati semplici volumi geometrici, vere presenze in grado di comunicare il senso di tutto ciò che è assente. Proprio come avviene nella Metafisica, resta familiare solo la corporeità delle cose, mentre il ruolo e il senso sembrano all’improvviso del tutto ignoti.

Sironi ha compreso che è proprio Milano il luogo del fermento culturale più stimolante di quegli anni. Qui trova Tommaso Marinetti, fondatore e teorico del Futurismo, e anche un’altra figura per lui determinante. Margherita Sarfatti, intellettuale e critica d’arte, per Sironi avrà sempre una speciale considerazione, sostenendolo anche economicamente ogni qual volta sia necessario. Sarà lei nel 1921 a presentarlo a Mussolini, grazie al quale ottiene dapprima l’incarico di disegnatore per il «Popolo d’Italia», organo ufficiale del Partito fascista, e in seguito quello di illustratore principale de «La Rivista illustrata del Popolo d’Italia». In questa veste, nonostante Sironi venga da qualcuno considerato autore reazionario e poco incline al rinnovamento, si distingue per un approccio alla grafica molto moderno, affiancato da autori come Munari e Depero. Sono questi gli anni della nascita di Novecento, il movimento nato nel 1922 che propone un’estetica del ritorno all’ordine e una moderna classicità che permetta di superare gli «eccessi» raggiunti dalle Avanguardie. Eppure, privatamente abbandona presto gli ideali classicheggianti finendo per imbattersi in una crisi di stampo espressionista, probabilmente dovuta anche alla scoperta di autori come Rouault e Kokoschka.

Di lì a poco si sarebbe allontanato dalla pittura da cavalletto, dedicandosi invece alle opere murali: mosaici, rilievi e dipinti di grande formato. Soprattutto per questa sua attività viene oggi ricordato a livello internazionale. Si tratta di un genere estremamente connotato politicamente. L’idea è infatti di creare opere più orientate alla comunità, accessibili a un numero molto più ampio di quanto avverrebbe per esempio con una tela di piccolo formato, fruibile solo a chi può permettersi di acquisirne una per la propria collezione. Elena Pontiggia, che da anni studia le vicende di Sironi, racconta che di fronte a questa nuova deriva il suo gallerista Vittorio Barbaroux arrivò addirittura a fargli causa, stanco di vedere l’artista produrre un numero tanto esiguo di opere vendibili, peraltro sempre renitente alla partecipazione alle mostre, anche alle più importanti, come la Biennale di Venezia. Pur essendo ospitate in edifici pubblici commissionati in epoca fascista, le opere murali non sono mai davvero delle opere di propaganda: il suo stile non è mai realista e non si presta a una rappresentazione ideologica e il suo senso dell’arte prevale sulle esigenze di partito. Se la prima parte della mostra di Milano è dedicata alle pitture su tela nei molti periodi della sua produzione, l’allestimento si conclude proprio con le opere murali. Sironi realizza il murale nell’aula magna della Sapienza a Roma, il mosaico che oggi è visibile sulla facciata del Palazzo dei Giornali di Milano, ma anche quello per il Palazzo di Giustizia della città progettato da Piacentini. Sono forse proprio queste le stanze più interessanti della mostra.

Eppure negli anni ’40 Sironi dovrà tornare a opere di formato più piccolo: lo Stato è al collasso e non è certo più in grado di commissionare opere. Per Sironi, che non nasconderà mai la propria adesione al Fascismo, si tratta di una crisi artistica e politica. Alla fine della guerra, per una curiosa quanto fortunata coincidenza, sarà Gianni Rodari, allora partigiano, a salvarlo dalla fucilazione: pur non conoscendolo di persona, quando vede nella lista dei condannati a morte il nome del celebre pittore, intercede per salvare quell’artista tanto combattuto quanto fondante per la stagione artistica del primo Novecento.