Ma è si oppure no?

La lingua batte - «O sì, o no… o meno»? Qual è la formula corretta? Il tema è oggetto di discussione fra gli esperti. Tuttavia, se vogliamo fare bella figura, cerchiamo di non farci tentare dall’opzione meno elegante
/ 28.09.2020
di Laila Meroni Petrantoni

«Oh cielo, bisogna prendersi le proprie responsabilità! O è bianco, o è nero. Non si può rifugiarsi sempre dietro ai grigi… O è sì, o è no. Il comodo o meno non esiste!». Era categorico quel mio docente di italiano: a noi allievi aveva proibito l’unione fra la congiunzione disgiuntiva o e il meno avverbiale. Quindi frasi come non so se verrò o meno erano decisamente bandite. Bollate come illogiche. Praticamente odiate. E a ben pensarci quel meno messo lì dopo la o ha un certo sapore di molle inferiorità, più che di ferma negazione. Insomma, ci è stato insegnato a non confondere una palla di cannone con una mezza cartuccia.

Sull’uso della locuzione o meno equivalente a o no sono state condotte lunghissime discussioni fra gli esperti della lingua italiana; come spesso accade nelle dispute lessicali, la conclusione pare non essere né univoca né definitiva. Studiando la questione e imbattendoci non di rado in svariati scambi di vedute tra voci autorevoli in materia, sembra anzitutto che o meno sia davvero poco presente nella tradizione letteraria. Per contro risulta essere piuttosto di uso comune nella lingua parlata, e proprio per questo molte fonti competenti sconsigliano o addirittura mettono all’indice quella relazione pericolosa fra o e meno: si potrebbe quasi dire che questo meno avverbiale dopo la disgiuntiva giochi il ruolo di intruso furbetto – o terzo incomodo – in un matrimonio felice e collaudato fra o e no. Meglio non cadere in tentazione, meglio scegliere (non solo nello scritto) la formula decisamente più elegante.

Si è tentato comunque di giustificare l’impiccione scavando nell’antenato della lingua italiana: si cita ad esempio lo storico dizionario di Nicolò Tommaseo, che ricordava come il latino minus preceduto da sin valesse «no». Tutto ciò non ha comunque portato nel tempo a una assoluta accettazione dell’espressione o meno.

Personalmente faccio valere tutt’oggi la dritta del nostro buon insegnante, anche se autorevoli nomi ben radicati nell’Olimpo della linguistica chiudono volentieri un occhio. A volte vien da chiedersi se lasciar correre sia un trucco per giustificare certe sbandate veniali, un po’ come accondiscendere ai capricci di un bimbo viziato.

Per dare solidità alla mia scelta personale, mi piace pure far notare come sostituire la congiunzione semplice con la sua forma rafforzata oppure faccia inceppare il meccanismo. I dubbiosi provino ad attuare questo scambio e a mantenere il nostro famigerato meno: direste non so se verrò oppure meno?

Di recente mi sono ritrovata a riflettere in famiglia su queste stramberie dell’italiano, sentendomi infine suggerire la salomonica soluzione: «quanti problemi vi fate! In fondo non serve sempre aggiungere questi benedetti o no e o meno. Togliamoli e buonanotte».

Già, forse troppo spesso ci piace abbondare, rischiando però di inciampare: basterebbero dei semplici ci chiediamo se sia all’altezza, avvertici se sarà possibile raggiungerlo, eccetera. Ci sono comunque casi in cui rinunciare all’alternativa non è possibile (piaccia o no), tuttavia optare per la soluzione riconosciuta come più corretta evita di far infuriare i puristi. O no?