Potremmo definirlo un teorema dell’amore quello che si è sviluppato attraverso due spettacoli recentemente andati in scena sui palchi luganesi del LAC e del Foce. Entrambi immersi in quel magma immortale e misterioso che sommerge le pulsioni amorose: dall’innamoramento alla passione, dalla carne all’anima, creando interessanti e spericolati parallelismi grazie a un ponte drammaturgico fortemente significativo lungo quasi cinque secoli.
Dapprima ci immergiamo negli endecasillabi e i settenari di Torquato Tasso con il suo Aminta, dramma pastorale del 1573 con la parola cinquecentesca del poeta sorrentino messa a nudo con una coraggiosa verticalità scenica dal regista Antonio Latella per quattro giovani attori con l’adattamento drammaturgico di Linda Dalisi. La platea del LAC, quasi satura grazie alla presenza di molti studenti liceali, è rimasta attonita e frastornata dalla forza poetica di cotanta essenzialità e passionalità verbale che dall’iniziale rifiuto amoroso della ninfa Silvia arriva a sfiorare la tragedia per l’infelice Aminta fino a trasformarsi in una favola a lieto fine. Ma è la parola teatrale allo stato puro a occupare lo spazio scenico.
Una ribalta a fondo nero per quattro bocche ai microfoni e un faro che ruota lentamente su un binario circolare attorno ai personaggi, come descrivendo un ciclo diurno con un continuo cambio di prospettiva ripetuto sui due tempi. Un oratorio senza concessioni, una trama bucolica che sfida il contemporaneo sugli accordi e le parole di PJ Harvey (Rid Of Me) e dei Can (Vitamine C) per una liturgia dell’ascolto grazie agli ottimi e applauditi Michelangelo Dalisi e Emanuele Buretta con Matilde Vigna e Giuliana Bianca.
L’esplosiva solitudine amorosa e l’inquietudine giovanile alle prese con i bilanci della maturità sono invece i binari contemporanei che veicolano L’amore ist nicht une chose for everybody (Loving Kills), originale titolo scelto per il debutto del Collettivo Treppenwitz, nuova e interessante realtà della scena indipendente regionale che riunisce tre giovani compagnie già affermate: Atrè Teatro, Azimut e Collettivo Ingwer.
La scena rimanda a un sala aeroportuale su cui campeggia la scritta You have nothing (non avete nulla). Sempre in alto, poco a lato, un grande schermo e in proscenio un monitor televisivo. Entrambi proiettano stralci di testimonianze di trentenni sull’amore e le sue incognite: quanti modi per amare? Che ruolo ha l’amore nella nostra vita? Perché finisce un amore? Amore a due, a tre…? e via così, in italiano, tedesco, francese, spagnolo, inglese: lingue che abbracciano dimensioni giovanili a tutto campo e che vogliono anche superare le barriere confederali per far «volare» lo spettacolo.
La voce di una hostess annuncia la partenza del volo. È il segnale per la termodinamica del gruppo che scoppia e si riunisce e poi torna a esplodere in un caos programmato e posseduto dal ritmo musicale, come per un’instancabile entropia per cuori solitari, una coreografia suggerita dalla liturgica vestizione del giubbotto di salvataggio e le misure di sicurezza in volo. Un teatro danzato sulle parole di personaggi catturati dalla videocamera, scandito da movimenti e abbracci, slanci e abbandoni nella continua ricerca di un contatto, di una sublimazione amorosa senza soluzione di continuità avvolta in conclusione dal rassicurante cantato di Vasco Rossi (Vivere).
Un’ora e un quarto di movimentate situazioni dove Simon Waldvogel (testo e regia) esplora il tema lasciando scoperta qualche possibilità di fuga drammaturgica che forse potrebbe rilanciare il tema con una sorpresa. Lo spettacolo che si è avvalso della supervisione di Carmelo Rifici ha visto in scena Thomas Couppey, Aurelio Di Virgilio, Camilla Parini, Anahì Traversi, Carla Valente e lo stesso Waldvogel. Bravi interpreti salutati da un pubblico entusiasta alle tre serate di un esordio sold out che si inserisce nella Factory di LuganoInScena.
Una nuova danza al Teatro San Materno
Dopo i festeggiamenti per i 30 anni di attività di Tiziana Arnaboldi e prima delle iniziative previste per ricordare i 100 dalla nascita del Bauhaus, la stagione del Teatro San Materno di Ascona riparte con Il canto del corpo. «Con questo spettacolo», ci spiega la coreografa, «proseguo il viaggio di esplorazione sulla natura umana iniziato con Il suono delle pietre accanto alla poesia di Fabio Pusterla. È un’evoluzione che dall’animale arriva all’uomo cercando la sua parte più selvaggia.
La poesia l’abbiamo lasciata perché è entrata nei corpi, ora è tempo di viaggiare da soli con gesti e suoni che vibrano liberi alla ricerca di memorie che il corpo prova a cantare abbandonandosi al suolo per rimandare il pulsare delle emozioni come forza motrice per una nuova danza». In scena ci saranno 5 danzatori di provata fede arnaboldiana: Eleonora Chiocchini, Marta Ciappina, Pierre-Yves Diacon, Maxime Freixas, David Labanca. Lo spettacolo debutterà sabato 2 febbraio alle 20.30 e verrà replicato domenica 3 alle 17.00.