L’uomo dal cappello di feltro

Cento anni fa nasceva l’artista tedesco Joseph Beuys
/ 08.02.2021
di Alessia Brughera

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Joseph Beuys. Pandemia permettendo, la Germania si appresta a festeggiare a dovere l’anniversario di uno dei suoi artisti più significativi e rivoluzionari con un articolato programma di esposizioni, performance e seminari che coinvolgerà buona parte del territorio tedesco, privilegiando in particolare le città della Renania Settentrionale-Vestfalia, da Bonn a Düsseldorf, passando anche, tra le altre, per Krefeld, dove Beuys è nato nel 1921.

Personaggio tra i più complessi della cultura europea contemporanea, Beuys è la figura che meglio incarna, con la sua vita e le sue opere, il vigore antitradizionale dell’arte del secondo Novecento. L’inseparabile cappello di feltro, segno di sapienza e autorevolezza, il bastone, simbolo di rettitudine morale, il gilet da «pescatore di anime» e gli scarponi da eterno viandante, così come la camminata decisa, il volto scarno e lo sguardo penetrante, hanno fatto di lui una vera e propria icona, conferendogli un’identità riconoscibilissima che lo ha reso noto forse ancor prima dei suoi stessi lavori.

Tanti sono gli appellativi che gli sono stati attribuiti: artista-sciamano, utopista messianico, filosofo-predicatore. Probabilmente Beuys è stato un po’ tutte queste cose, ma più di ogni altra è stato un uomo alla ricerca di una via di accesso alla verità. Una verità da trovare non in una dimensione astratta e ideale bensì nella realtà, poiché ciò che accade nel mondo accade anche dentro di noi.

Il suo carisma e la sua incrollabile fiducia nel dialogo sono stati alla base di un approccio all’arte poco convenzionale che, nonostante i tentativi di assimilazione ad alcuni movimenti (Minimalismo, Concettuale, Arte Povera...), ha reclamato fin da subito la sua autonomia.

L’urgenza di comunicare con ogni mezzo ha trovato nel lavoro di Beuys una piena risposta. Non sorprende, infatti, che il maestro tedesco si sia occupato anche di politica, di economia e di ecologia (è stato tra i fondatori del Partito dei Verdi in Germania), sorretto dalla convinzione che l’arte sia strettamente connessa a tutto ciò che coinvolge l’individuo. Ed è per questo che l’operato dell’artista può essere compreso solo se considerato nella totalità delle sue molteplici attinenze sociali, al cui centro sono sempre collocati l’essere umano e la sua potenzialità creativa.

Ben conosciuto è uno degli «slogan» che hanno accompagnato il pensiero di Beuys: «ogni uomo è un artista», un assunto che rievoca le parole di uno dei suoi scrittori prediletti, il connazionale Johann Wolfgang von Goethe, per sottolineare come ogni singola persona sia custode di una vigorosa energia in grado di cambiare il mondo.

È proprio da qui che nasce la sua idea di «scultura sociale», ovvero un principio universale finalizzato a elevare ogni azione quotidiana ad atto artistico, così da plasmare l’intera società con la vitalità che si sprigiona dal processo creativo. Per Beuys il pensiero degli uomini liberi, coloro che ricercano l’armonia perduta con la natura e con la sfera spirituale, è una sorta di opera d’arte collettiva, la sola capace di condurci verso la salvezza.

Trascorsa l’infanzia nella piccola città di Kleve, Beuys si orienta dapprima verso gli studi di medicina. È poi la guerra a mutare i suoi progetti. Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale viene arruolato nella Luftwaffe come pilota di bombardiere in picchiata e durante una missione sul fronte orientale, nel marzo del 1943, lo Stuka su cui sta volando si schianta al suolo durante una tempesta di neve in una desolata pianura della Crimea. La leggenda vuole che Beuys venga salvato da alcuni nomadi tartari che, trovatolo semiassiderato, lo curano con le loro antiche pratiche terapeutiche, ricoprendo il suo corpo di grasso per rigenerarne il calore e avvolgendolo nel feltro per conservarlo.

Profondamente cambiato nel fisico e nello spirito, alla fine della guerra Beuys attraversa una forte crisi interiore che lo porta a decidere di diventare un artista. Il grave incidente avuto in Crimea segna in maniera indelebile la sua esistenza, ammantato com’è di implicazioni simboliche legate al concetto di rinascita e rievocato di continuo nella sua arte proprio mediante l’uso del feltro e del grasso animale come elementi caratteristici.

Oltre a frequentare la Kunstakademie di Düsseldorf (dove ottiene nel 1961 la cattedra di scultura, sottrattagli poi una decina di anni dopo per aver organizzato uno sciopero), Beuys mostra interesse per diverse discipline, dalla filosofia alla poesia, dalla letteratura alla musica. Studia Kierkegaard e Nietzsche, legge Schiller, Schelling e Novalis, ascolta Wagner e Satie, condivide le teorie antroposofiche di Rudolf Steiner.

Mosso dalla volontà di indagare il senso dell’arte in rapporto alla sua fruizione sociale, si accosta dapprima al gruppo Fluxus per poi incominciare negli anni Sessanta a dar vita alle sue installazioni e alle sue performance finalizzate alla sollecitazione di una coscienza critica nel pubblico.

Beuys si presenta sempre in un ruolo di primo piano, divenendo insostituibile protagonista delle sue azioni artistiche, ogni volta demiurgo di modelli di pensiero che spronano a un impegno morale e politico. Nelle sue opere i materiali scelti per il loro profondo valore simbolico si mescolano alle parole e ai gesti di un uomo che punta sulla mitologia della sua stessa persona e sulla sua innegabile capacità di persuasione.

Del 1964 è una delle sue prime Aktionen più significative: Beuys fa sciogliere due cubi di grasso su una piastra rovente mentre nella sala viene trasmessa la registrazione del discorso di Goebbels allo Sportpalast di Berlino che istigava alla «guerra totale». La performance continua anche quando l’artista, attaccato da un gruppo di studenti neonazisti, viene colpito al naso, che incominica a sanguinare copiosamente.

Leggendaria è, ancora, I like America and America likes me, del 1974, in cui Beuys si rinchiude per qualche giorno in una galleria d’arte di New York insieme a un coyote, animale antico e indomito, simbolo delle origini americane, per far riflettere sulla difficile coesistenza tra civiltà umana e natura selvaggia.

Invitato nel 1982 a partecipare alla rassegna internazionale d’arte documenta a Kassel, Beuys realizza una delle sue opere più suggestive. Davanti al Museo Federiciano della città colloca settemila pietre di basalto, acquistabili da chiunque, il cui ricavato della vendita viene usato per sostituire ogni blocco con una quercia. Vero e proprio manifesto dell’ecologismo artistico, questo lavoro in realtà va al di là della salvaguardia della natura per assurgere a difesa dell’uomo stesso e dei suoi valori fondamentali. Dopo aver piantato il primo albero il giorno dell’inaugurazione, Beuys avrebbe dovuto occuparsi anche dell’ultimo, il settemillesimo, cinque anni dopo. Non è stato lui a farlo, morto nel 1986 per problemi cardiaci, ma il figlio Wenzel. Quest’opera, però, continua a vivere oltre il suo autore, incarnazione di quell’utopia concreta e di quell’arte che cavalca il flusso dell’energia umana di cui Beuys si è sempre fatto interprete.