Fino all’ultimo Visions du Réel ha sperato nell’impossibile. Il destino però sembra a volte accanirsi sulle sue vittime (e la cultura ne fa decisamente parte) e anche l’edizione di quest’anno si è dovuta piegare alla situazione sanitaria. La 52esima edizione di Visions du Réel (15-25 aprile) sarà ibrida: i film selezionati potranno essere visionati in streaming mentre alcuni ospiti, accolti in uno studio televisivo creato appositamente per l’occasione, si sposteranno fino a Nyon prestandosi al gioco delle interviste e dei dibattiti. Un’edizione ancora amputata del suo pubblico che non ha però intenzione di abbassare il suo livello qualitativo. Visions du Reél continua in effetti a stupire grazie a una programmazione audace che apre gli occhi del pubblico su verità spesso scomode, inaspettate o brucianti, ma necessarie poiché fanno parte del «reale».
Numerosi i film svizzeri selezionati, una prova in più della forza di una cinematografia documentaria che non indietreggia di fronte a nulla. Tra questi spiccano, nella Competizione internazionale, The Bubble della giovane regista austriaca ma zurighese d’adozione Valerie Blankenbyl che mette in scena le eccentricità e le incoerenze di una comunità di pensionati in Florida pronti a tutto pur di vivere il loro sogno edonistico e Ostrov – Lost Island di Svetlana Rodina e Laurent Stoop, ritratto poetico ma senza concessioni di una famiglia obbligata a immaginare un futuro tra le rovine di una cittadina sul Mar Caspio.
Selezionati nella sezione competitiva Burning Lights ritroviamo invece Way Beyond di Pauline Julier che ci imbarca in un’avventura scientifica tra le mura imponenti del CERN e Dida di Nikola Ilić e Corina Schwingruber Ilić, coraggiosa testimonianza del regista costretto a occuparsi della madre con problemi di apprendimento, mentre Dreaming an Island del giovane regista ticinese Andrea Pellerani, selezionato nella Competizione nazionale, ci fa viaggiare fino in Giappone, sulla minuscola isola di Ikeshima per assistere a rituali pieni di poesia.
Sorprendente e decisamente in sintonia con la crisi sanitaria mondiale che stiamo vivendo, la scelta di proporre come film di apertura Les guérisseurs della regista losannese Marie-Eve Hildbrand. Il lungometraggio, prodotto da Jean-Stéphane Born e Agnieszka Ramu di Bande à part, è interamente sostenuto dal Percento culturale Migros (in collaborazione con la SRG SSR). Les guérisseurs è infatti il laureato 2018 del prestigioso concorso Documentaire-CH che ambisce a sostenere la produzione di documentari svizzeri basati su grandi temi legati alla società.
È la prima volta che un film sostenuto dal Percento culturale Migros non solo è selezionato nella Competizione nazionale, ma è anche scelto come film di apertura di un festival prestigioso come Visions du Réel. A questo proposito la regista ci confessa che «quando si è giovani si fanno film a ogni costo, ma crescendo ci si rende conto che avere un sostegno finanziario forte permette di affrontare con più serenità certe tappe cruciali del processo filmico. Ho appena finito il mixaggio e la calibrazione e avere a disposizione una somma come quella ricevuta dal Percento culturale Migros mi ha permesso di occuparmi di dettagli importanti che avrei purtroppo dovuto trascurare se i finanziamenti non fossero stati sufficienti».
Il primo lungometraggio di Marie-Eve Hildbrand colpisce grazie alla forza e alla poesia delle sue immagini, un condensato (deliziosamente) destabilizzante di scienza e umanità, certezze e misteri legati al corpo umano nella sua globalità. Les guérisseurs parla di medicina ma non solo. Il legame tra gli esseri umani filmati dalla regista – saggi, guaritori, medici e pazienti – è valorizzato perché parte integrante del processo di guarigione.
La trasmissione di un sapere da una generazione all’altra si trova al centro del film, viaggio a tratti magico nei meandri di quel vasto e indecifrabile mondo chiamato medicina. Les gérisseurs sembra funzionare su tre livelli narrativi: la storia del padre della regista che sta per andare in pensione lasciando il suo studio medico dopo quarant’anni di carriera, quella di alcuni studenti di medicina dell’università di Losanna, divisi tra dubbi e momenti di esaltazione estrema e quella dei guaritori, alternativa a una medicina occidentale che sembra non accettare concorrenti.
Ricordando con emozione il lavoro di suo padre e la sua dedizione, la regista confessa: «Mio padre era prima di tutto qualcuno che si occupava degli altri. Mi sono resa conto che il mestiere di medico è uno dei rari mestieri in cui si lavora a diretto contatto con l’umano, con le sue vulnerabilità, le sue fragilità, e questo in una società che basa tutto sulla performance. Il mestiere di medico era una vera vocazione per lui. Nei miei ricordi era un uomo molto occupato. Penso che fare questo film sia stato un modo per esplorare un aspetto di lui che non conoscevo, per osservare il suo quotidiano di medico generalista di campagna».
La regista sapeva di tenere tra le mani una pepita: «Per il mio cortometraggio La petite photo des seins de ma mère faite par mon père avevo già collaborato con mio padre quindi sapevo che era un “personaggio da film” estremamente interessante, allo stesso tempo preciso nel suo modo di parlare ma anche abitato da un pudore toccante».
A proposito del rapporto fondamentale tra medico e paziente, che con gli anni e i ritmi di lavoro sempre più intensi sembra affievolirsi, Hildbrand afferma: «Quando mio padre è andato in pensione ho dovuto cercare un altro medico generalista e questo mi ha spinto a pormi delle domande sulla medicina. Il rapporto che instauriamo con il nostro medico è molto importante e spesso mi sono trovata di fronte a professionisti che avevano l’aria più stanca di me. È questa constatazione che mi ha spinta a girare Les guérisseurs».
Aggiungendo poi: «Penso che il film esplori il mondo della medicina ma che alla fine questo sia un pretesto per capire cosa ci lega gli uni agli altri e in cosa questa relazione può essere benefica o nefasta. Una delle domande che ha sorretto il film è stata capire cosa significhi curare». Attraverso personaggi toccanti e luminosi, il film ci permette di osservare un sistema sanitario che non smette di rigenerarsi, confrontato con un’umanità sempre più complessa e multisfaccettata.