Bibliografia
Alfio Tommasini, Via Lactea, Edition Patrick Frey, 2020. 


L’umiltà della montagna

La Via Lactea di Alfio Tommasini è una delle più belle pubblicazioni recenti sulla vita dei contadini di montagna, fra neve e animali
/ 08.02.2021
di Gian Franco Ragno

Avrebbe dovuto essere presentato a Zurigo a fine ottobre, ma l’appuntamento è stato cancellato per le note vicende legate all’evoluzione della situazione pandemica. Ma nonostante ciò, in questi mesi dalla pubblicazione, esso ha suscitato un grande e meritato interesse, da parte dei media nazionali e anche internazionali. Parliamo di Via Lactea, libro fotografico di Alfio Tommasini (1979) – giovane autore ticinese tra i fondatori e curatori del Verzasca Fotofestival – edito dall’eccellente editore zurighese Patrick Frey.

A dominare il volume sin dal primo contatto con la copertina, un progetto grafico di Sidi Vanetti, è un unico colore, ovvero il bianco. Il bianco della neve e il bianco del latte, il bianco sporco di un paesaggio invernale dove le persone raffigurate lavorano duramente, e che non è certo il paesaggio rurale di montagna svizzero idealizzato di tanta produzione turistica. L’unica aggiunta di colore è una lieve nota magenta, di tono caldo, che nelle stampe sembra ben avvolgere la ferma presenza dei protagonisti.

Ma nell’insieme ciò che colpisce maggiormente dell’intero progetto – ovvero la raffigurazione della produzione del latte nei mesi invernali in diverse regioni periferiche della Svizzera – è la totale assenza di retorica e finzione, per affidarsi totalmente a un registro documentaristico.

Il racconto visivo si svolge in una sorta di dialogo tra i due soggetti, l’uomo e l’animale, i cui ritmi procedono paralleli: la vicinanza fisica – il contatto continuo, la mutua ed esistenziale complementarietà, fanno sì che si formi una sorta di abbraccio esistenziale tra le due parti. A tratti si sfiora la simbiosi: una delle immagini più suggestive, quella di un contadino e della sua giumenta nella neve durante una nevicata, è in questo senso fortemente emblematica.

I primi, gli uomini, nostri contemporanei, nei gesti e nella solida presenza si offrono al ritratto senza abbellimenti, interrotti nelle loro faccende quotidiane e pronti immediatamente dopo a riprendere un’azione con sapienza antica; i secondi, gli animali, fotografati in piccole realtà contadine svizzere, e quindi in un numero contenuto, lontani dalle batterie industriali, si prestano senza paura, a tratti con curiosità, a un dialogo con la macchina fotografica.

Allo stesso modo, il loro peso nelle pagine sembra paritario, bilanciato, se non proprio ancora speculare (la nascita di un agnellino, una donna incinta che scopre il suo ventre nella stalla).

Tra i punti più lirici del libro vi sono senza dubbio gli attimi vissuti al di fuori delle stalle. Si tratta delle riprese notturne, o di prima mattina, momento in cui il mondo sembra ancora addormentato, ancora più distante nelle sue preoccupazioni materiali. Qui la montagna, imponente e imperiosa ripresa dal basso, alla quale funge da quinta un ricco cielo di stelle, non può che aprire le porte a riflessioni lontane dalla semplice quotidianità.

All’esterno, scorre ed è visibile nei mesi primaverili la Via Lactea, la stessa che i pellegrini seguivano per arrivare a Santiago di Compostela, la costellazione che ci collega – al di fuori delle categorie di spazio e tempo – alle generazioni passate.

Il pensiero corre subito alle tante persone che, a cavallo del secolo e dalle stesse terre d’origine del fotografo e in genere dall’alto Ticino, dovettero migrare per svolgere proprio questa tipologia di lavori, per trovare delle condizioni più favorevoli alla sopravvivenza, o banalmente, più terra su cui poggiare la loro esistenza. Nulla più della trama del libro più letto della letteratura regionale, Il fondo del sacco di Plinio Martini.

Solo nelle ultime pagine si accenna – brevemente e senza polemiche – a ciò che è oggi l’industria del latte – dove l’animale sembra non aver nome e dove esso diventa prodotto e merce, asettico spazio dove tutto sembra perdere la dimensione simbolica e storica.

A completare il volume un testo, finora riportato solo in tedesco e inglese, della scrittrice Noëmi Lerch, recentemente insignita del premio svizzero della Letteratura, e soprattutto, anche lei contadina di professione.

Condotto con un ammirevole impegno negli ultimi quattro anni, dal tono dimesso ma autenticamente partecipato – molto lontano dal protagonismo e carrierismo dell’essere artisti d’oggi – Via Lactea di Alfio Tommasini è uno dei libri più belli stampati in Svizzera nell’ultimo difficile anno – e per il Ticino, uno dei libri più significativi dati alle stampe negli ultimi anni.