Era il 1938 quando, in Italia, il Gran consiglio del Fascismo adottò una serie di norme, note come «leggi razziali», ispirate a quelle che erano tristemente applicate già da alcuni anni nella Germania nazista. Un momento drammatico che ebbe forti ripercussioni anche a livello locale, proprio nella Svizzera Italiana. Quello che successe in Ticino durante gli anni del secondo conflitto mondiale rimane ancora oggi, per molti versi, in quella zona di penombra, quando il ricordo privato si sovrappone alla Storia. È un tema difficile da accettare e per un motivo semplice: molti fra coloro che furono respinti alle nostre frontiere non trovarono scampo altrove e morirono per mano dei nazifascisti. Nonostante ciò, in diversi casi ci fu, invece, qualcuno che comprese la tragedia che si stava consumando e di fronte a persone alla ricerca di una via di salvezza, seppe trovare una soluzione tanto giusta quanto audace.
A ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali italiane, nasce in Ticino il progetto «Lugano Città Aperta» e a promuoverlo, insieme alla Città di Lugano, è la Fondazione Federica Spitzer. Il suo presidente, Moreno Bernasconi, lo illustra ai lettori di «Azione».
Come nasce il progetto «Lugano Città Aperta»?
Si tratta di un lavoro di memoria fatto in funzione del presente: quando ci si occupa degli anni più bui del Novecento, uno dei secoli forse più barbari della storia dell’uomo a causa dei milioni di morti prodotti dai totalitarismi, si sottolinea giustamente l’efferatezza di quanto fu compiuto, ma spesso si considerano quelle vicende un unicum nella storia. Purtroppo, se consideriamo soltanto quanto è successo dall’inizio del secondo millennio ad oggi, ci accorgiamo che le cose non stanno così. Il lavoro di memoria che proponiamo parte dall’ottantesimo anniversario delle leggi razziali contro gli ebrei in Italia, perché diedero il via all’esodo di persone perseguitate a causa della loro appartenenza razziale e religiosa. Molte di loro, tra il 1938 e il 1945, trovarono un rifugio qui nella neutrale Svizzera e in un Ticino pur molto esitante, timoroso e contraddittorio nei confronti del nazifascismo. Sappiamo infatti che l’atteggiamento della Svizzera italiana non fu cristallino. Eppure, proprio allora, pur nell’incertezza e nei timori, la tradizione umanitaria di questa città emerse in un modo straordinario e a noi interessava, come Fondazione Spitzer, sottolineare il ruolo avuto da figure speciali che in questa situazione drammatica seppero rispondere con un gesto di umanità.
Stiamo quindi parlando della capacità di accoglienza emersa in Ticino?
Sì, di aiuto concreto a persone che in Italia sarebbero state arrestate e inviate nei campi di sterminio (purtroppo molti dei respinti alle nostre frontiere finirono ad Auschwitz). Ciò che il progetto intende comunicare è che la coscienza di ogni essere umano può fare tantissimo nei momenti in cui il male sembra irrimediabile. È un’intuizione di Federica Spitzer: nel suo libro e nelle sue testimonianze agli studenti delle scuole ticinesi affermava che, anche nelle circostanze più tremende della storia, c’è un’irriducibile capacità di resistenza al male da parte degli esseri umani, capaci di compiere grandi gesti di umanità e di «trasformare una tragedia umana in un trionfo». Mettendo al centro del loro agire un gesto di umanità senza aspettare che governi o interessi diplomatici determinino le condizioni. Per questo motivo abbiamo deciso di inserire nel progetto un gesto concreto, cioè realizzare un «Giardino dei Giusti» al Parco Ciani di Lugano per rendere omaggio a coloro che in epoche diverse si sono distinti per questo tipo di atteggiamento. Sarà un segno che permetterà alla città di riconoscere una sua tradizione di apertura e di accoglienza e di trasformarla in una consapevolezza condivisa e in un’occasione di crescita per tutta la popolazione.
Vorrei chiederle di spiegare ai nostri lettori il concetto di «Giardino dei Giusti», che rimarrà come segno permanente nel principale parco della città.
La Fondazione Spitzer segue da alcuni anni l’operato dell’associazione GARIWO – Gardens of the Righteous Worldwide, fondata e presieduta da Gabriele Nissim, che istituisce i Giardini dei Giusti come luoghi per rendere omaggio a figure che si sono distinte nel salvare delle vite o nell’aiutare dei perseguitati. Da qui è nato il desiderio di creare anche a Lugano qualcosa che si ispirasse a questi luoghi che già esistono in Israele, in Polonia, in Italia, in Palestina, in Armenia e in molte parti del mondo.
Come si svolgerà in concreto il progetto?
I soggetti organizzatori sono la Fondazione Spitzer e la Città di Lugano (in particolar modo l’Archivio storico diretto da Pietro Montorfani). Ma sono numerosi i partner, fra cui il Cantone, l’Università della Svizzera Italiana, l’Associazione Svizzera-Israele. Le figure scelte per il Giardino dei Giusti di Lugano sono: Guido Rivoir, pastore valdese di fede socialista, che si prodigò negli anni Settanta per l’accoglienza cittadini cileni perseguitati sotto la dittatura di Pinochet; Francesco Alberti, sacerdote cattolico amico di Don Sturzo, direttore di «Popolo e Libertà» e antifascista impegnato. E, da ultimo, Carlo Sommaruga e sua moglie Anna Maria Valagussa. Diplomatico presso l’ambasciata Svizzera a Roma, per il suo impegno a protezione degli ebrei perseguitati Carlo Sommaruga era sulla lista di proscrizione dell’autore dell’eccidio delle Fosse Ardeatine Herbert Kappler.
I personaggi scelti verranno commemorati con un tributo civico e con un approfondimento storico?
Fra febbraio e marzo verranno dedicate ad ognuna di queste personalità serate pubbliche alla Biblioteca cantonale, alla Biblioteca Salita dei Frati e all’Università per illustrare il contesto storico e il loro operato. In aprile l’Istituto studi italiani diretto dal professor Stefano Prandi organizza il Convegno scientifico «Lugano al crocevia: esuli, esperienze, idee». Il progetto si concluderà il 26 aprile, con l’inaugurazione del Giardino dei Giusti, in presenza del Consigliere federale e capo del dipartimento degli esteri Ignazio Cassis, il capo del Governo cantonale e le autorità diplomatiche italiane. A conclusione della giornata, è in programma uno spettacolo al LAC dal titolo Serata colorata – curato ed ideato da Viviana Kasam, giornalista e co-ideatrice del progetto Lugano Città Aperta – che con interpreti di grande richiamo internazionale riproporrà intrattenimenti teatrali e musicali che si svolgevano nei campi di internamento fascisti in Italia. Il pubblico luganese – l’evento è in cartellone di LuganoInscena – potrà condividere quel clima di ironia, di tristezza ma anche di speranza che caratterizzava questi spettacoli di cabaret.