Locarno è di nuovo a casa

Sezioni, film in piazza, incontri con registi e attori: la kermesse più attesa dell’anno è entrata nel vivo
/ 09.08.2021
di Nicola Falcinella

Il Festival di Locarno è tornato nella sua Piazza Grande. Dopo la sofferta rinuncia dello scorso anno a causa della pandemia, la determinazione e il lavoro della squadra del presidente Marco Solari e del neodirettore Giona Nazzaro hanno riportato la storica manifestazione nella sua sede e alla sua formula, ripartendo da dove si era interrotta. Nonostante le precauzioni – le mascherine, il distanziamento, i certificati vaccinali o i tamponi – è di nuovo la festa di chi ama il cinema, superando anche il maltempo dell’inizio.

Quasi a metà percorso, la 74esima edizione ha ancora molto da offrire, a cominciare da stasera in piazza dove passa Belle di Mamoru Hosoda, uno dei maestri dell’animazione giapponese, autore tra gli altri di La ragazza che saltava nel tempo e Mirai. Suzu è una studentessa di un villaggio rurale che entra in un mondo virtuale e diventa Belle, una cantante di fama planetaria, conoscendo una creatura misteriosa che le cambierà la vita. L’animazione torna giovedì sera con l’italiano Yaya e Lennie – The Walking Liberty di Alessandro Rak (L’arte della felicità), una favola ecologista in una Napoli fantascientica. A seguire sarà proposto il cult Heat (1995) di Michael Mann per il Pardo alla carriera a Dante Spinotti, friulano che ha dato luci e colori al meglio del cinema hollywoodiano a cavallo tra i due secoli.

Sempre in tema di riconoscimenti, venerdì consegna del Pardo d’onore a John Landis e proiezione di Animal House (1978), altro film entrato nel mito. Il premio a Landis, tra i cui gioielli anarchici c’è anche The Blues Brothers, riprende il filo delle retrospettive e degli omaggi alla nuova Hollywood e alla factory di Roger Corman della Locarno mülleriana anni ’90. Per la chiusura di sabato, dopo la cerimonia di consegna dei Pardi, Respect di Liesl Tommy, biografia della grande Aretha Franklin (da poco è in circolazione l’imperdibile documentario Amazing Grace di Sydney Pollack) con Jennifer Hudson.

Tra le proposte della Piazza, una delle più attese era Monte verità di Stefan Jäger, che è stato proiettato sabato sera. Una produzione svizzera ambiziosa, girata in Ticino la scorsa estate per ricostruire l’inizio dell’esperienza utopica nella comunità che si costituì oltre un secolo fa sopra Ascona: l’attrice tedesca Julia Jentsch (la Sophie Scholl del film omonimo) interpreta la fondatrice Ida Hofmann. Nell’occasione è stato proposto anche Terminator (1984) di James Cameron come omaggio alla produttrice Gale Ann Hurd che ha ricevuto il premio Rezzonico.

Tra i film visti nei primi giorni, meglio Rose di Aurélie Saada che Beckett di Ferdinando Cito Filomarino. Il primo racconta tra commedia e dramma di un’anziana ebrea francese che reagisce alla scomparsa improvvisa del marito lasciandosi andare, salvo scoprire in un bar uno stimolo per accorgersi che la vita non è finita e ci sono ancora gioie e momenti da assaporare.

Brava la protagonista Françoise Fabian a rendere la trasformazione della donna, diretta con delicatezza ed energia dalla regista che è anche autrice delle musiche. Il film inaugurale, prodotto da Luca Guadagnino per Netflix, è un thriller ambientato in Grecia. Una coppia americana, Beckett e April, sta trascorrendo una vacanza, ma per un incidente la giovane muore e l’uomo si ritrova per un equivoco dentro un gioco fantapolitico più grande di lui. Anche le ambizioni del regista (già a Locarno con un cortometraggio) sono più grandi di lui e l’intreccio cede sempre di più, man mano che si procede e il castello si carica di eccessivi e superficiali elementi.

Il concorso per i Pardi vede 17 opere in gara, per la Svizzera Soul of a Beast di Lorenz Merz, per l’Italia I giganti del sardo Bonifacio Angius già a Locarno con Perfidia. Tra i primi a essere presentati il libanese Al Naher – Il fiume di Ghassan Salhab, che ha qualche buona suggestione, ma è anche dispersivo, imitativo (guarda a temi e atmosfere del turco Nuri Bilge Ceylan e, più indietro nel tempo, Michelangelo Antonioni) e a tratti supponente. Ha delle belle trovate il serbo Nebesa – Heavens Above di Srdjan Dragojevic, diviso in tre capitoli tra il 1993 e il 2026, un lasso di tempo durante il quale le condizioni di vita per i poveri e i rifugiati non migliorano. Uno di questi, Stojan, profugo delle guerre balcaniche, è una brava persona che un giorno si ritrova con un’aureola che lo fa credere un santo dal vicinato. La novità causa solo problemi, così la moglie, su suggerimento di un imbonitore televisivo, decide di provare a farlo peccare, partendo dalla gola e dall’invidia, per arrivare alla lussuria. Miracolo, peccato e tentazione sono i temi che tornano anche nei due episodi seguenti, anche se forse la spinta iniziale si perde un po’.

Nella competizione sono da tenere d’occhio Zeros and One, gradito ritorno dell’imprevedibile ed estroso Abel Ferrara, Petite Solange di Axelle Ropert e After Blue del francese Bertrand Mandico.

Nel programma anche il sempre più importante Open Doors, quest’anno dedicato al Sudest asiatico, che vuole essere una vetrina (sono proposti nove lungometraggi e 12 corti) e un sostegno a cinematografie emergenti. E ancora i Pardi di domani per chi ama i cortometraggi e vuole scoprire i talenti del futuro.

Da non dimenticare la Semaine de la critique con sette documentari di grande interesse e il nuovo premio dedicato a Marco Zucchi, giornalista della Rsi e delegato della sezione prematuramente scomparso lo scorso anno.

Ultima ma non ultima l’importante retrospettiva dedicata ad Alberto Lattuada (1914-2005), regista e intellettuale che affiancò Federico Fellini nella sua prima regia, Luci del varietà (1950), con all’attivo una lunga carriera spesso messa in ombra dai tanti grandi registi suoi coevi. Da vedere soprattutto i lavori tra gli anni ’40 e i ’60: Anna, La spiaggia, Il cappotto, Dolci inganni, Senza pietà o Don Giovanni in Sicilia.