Bibliografia
Marco Balzano, Quando Tornerò, Torino, Einaudi, 2021


Lo strappo che non si ricuce

Nel nuovo romanzo di Balzano la storia difficile di una badante rumena
/ 22.03.2021
di Angelo Ferracuti

Marco Balzano è bravo come pochi a raccontare l’ordinarietà della vita quotidiana, quel battito che scandisce un tempo uguale per tutti e ripetitivo, quello della routine ma anche il più esistenziale, cruciale in una esistenza, dove si scatenano paure, passioni, e dove sogno e tragedia si mischiano. Il suo nuovo romanzo, di taglio neorealistico, dalla scrittura in bianco e nero, Quando tornerò, è la storia di una famiglia rumena presa dentro la meccanica sociale, in un paese che dopo il post-comunismo è ancora in preda a un forte disorientamento politico ed economico, il cui baricentro è una madre, Daniela, che all’improvviso scappa da Iași, un piccolo paese di campagna della Romania orientale al confine con la Moldavia e va a vivere in Italia a Milano.

«Moma», così la chiamano i figli, è una delle tante invisibili che abitano le nostre famiglie, accudiscono i vecchi, governano gli appartamenti e si ritrovano spaesate nel tempo libero a camminare solitarie nei parchi, scambiando messaggi con i famigliari nei display luccicanti dei telefonini, l’unica forma di contatto con il mondo lontano che sono state costrette a lasciare.

La storia è raccontata a tre voci, come altrettante partiture di un collage narrativo che si realizza attraverso diversi sguardi, sensibilità e punti di vista, con una tenuta narrativa invidiabile, sempre serrata e centrata sui fatti che non si concede mai divagazioni, restando sempre fedele e ancorata al dato di realtà, al qui e ora di questi destini intrecciati. Le altre due voci narrative sono quelle dei figli Manuel e Angelica, «gli orfani bianchi», che dopo la partenza della madre, e quella del padre, Filip, il grande assente del libro, il quale per sbarcare il lunario va a fare il camionista sulle strade siberiane, sono costretti a reinventarsi le proprie vite, in preda a frustrazioni e immaginazioni perturbanti.

La lingua che Balzano usa è scarna ed essenziale, fa economia di dettato, raramente si concede lirismi, e si differenzia nelle tre voci che raccontano aderendo alla fisionomia dei personaggi, e alle ambientazioni, dal romanzo di formazione del giovane Manuel, acerbo e sbandato, svogliato a scuola, rimasto a vivere solo con la nonna Rosa e il nonno Mihai, un vecchio contadino che cura l’orto e alla fine del podere ha messo una vecchia locomotiva di treno dove lui va a rintanarsi, a quello del viaggio e della distanza, anch’esso un racconto di perdita, quello di una madre, Daniela, sospesa tra interni claustrofobici metropolitani, desiderio di emancipazione e senso di colpa, come quello di molte donne che emigrano, presa dal «mal d’Italia», «la depressione che colpisce chi resta per anni lontano da casa e dai figli per accudire gli anziani, i non autosufficienti, i malati»; fino a quello di Angelica, «Boomerang», che chiude il libro e apre a un altro distacco, non solo geografico ma proprio dell’entrata nel mondo degli adulti.

È l’altra faccia della storia recente, quella che in tanti non vogliono guardare, chiudendo gli occhi, le ragioni politiche, sociali, esistenziali, che spingono molti ad abbandonare la propria terra e a partire per migliorare la propria condizione, le lacerazioni e i drammi di chi lascia i propri padri e i propri figli per occuparsi di quelli degli altri, oltrepassando quella frontiera sensibile, invisibile, traumatica di cui ha scritto nei suoi reportage Alessandro Leogrande. Eppure, molti di questi invisibili abitano le nostre case, vivono vicino a noi, ci siedono a fianco sugli autobus, portano a letto e danno da mangiare ai nostri vecchi, ai nostri bambini, di cui conoscono i corpi meglio di quelli dei propri, e chiedono di essere cittadini ma soprattutto persone.

Uno dei molti pregi di questo romanzo, è quello di mostrare cosa succede dentro una vita, dentro un’esistenza, quando si parte per andare lontano, cosa produce lo strappo del vuoto, una ferita invisibile che colpisce in due punti lontani chi parte e chi resta, crea fratture nei rapporti famigliari, condiziona il futuro di tutti e cambia irreparabilmente e per sempre i destini. Balzano compie questo disvelamento con le armi della scrittura, quelle della letteratura, entrando nelle vite degli altri e facendole sue, perché come scrive in una nota finale «una storia prima di raccontarla bisogna saperla ascoltare».

Un incidente che colpisce all’improvviso il giovane Manuel, il punto di rottura dove il libro prende una traiettoria imprevista e va dritto al cuore, costringerà la donna a tornare al suo paese, e tutti i componenti della famiglia a ripensare alla propria storia. Niente sarà più come prima per nessuno, ognuno di loro si chiederà se dopo il big bang provocato nelle loro vite sarà ancora possibile essere un padre, una madre e un figlio come prima, come e dove ricominciare; ma come dice Daniela in un passo toccante del romanzo: «La speranza è una cosa concreta, come la sete. Annoda le viscere e addensa il sangue».