«Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata da un sonno». La battuta di Prospero nel IV atto de La Tempesta shakespeariana è l’abito ideale per l’attrice, performer e nomade Patricia Savastano. Classe 1961, di origini molisane, è nata e cresciuta in Argentina a San Juan, città ai piedi della cordigliera delle Ande. Farsi raccontare le sue esperienze è come fare rafting su un fiume in piena, fra ricordi e storie che si accavallano come onde impetuose.
La incontriamo alla vigilia del suo ennesimo esodo verso nuove esperienze di lavoro con il sogno di portare a termine il progetto di costruzione di un Pianeta ludico a San Juan, uno spazio di gioco per adulti per la cui realizzazione sta raccogliendo fondi. Il gioco è una costante della sue verve creativa, fra teatro, danza, disegno e terapie naturali… «Tengo attivo il mio lato ludico – ci spiega – mi aiuta a vivere in armonia, riequilibrando, elaborando emozioni, permettendo cambiamenti, flessibili. Accompagno le persone a ritrovare, a ricordare, a reincontrarsi. A non avere paura del vuoto».
La sua narrazione è appassionata, spesso disordinata, espressione dell’entusiasmo contagioso di un personaggio quantomeno sincero. Spirito irrequieto, alla continua caccia di stimoli nel mare delle opportunità, Patricia è un incrocio fra il Puck del Bardo e il Bianconiglio di Carroll. Paladina della sincronicità, il suo unico credo è nella casualità degli incontri, una fede che si accompagna al gioco come strumento di un rito, di una sacralità nel cuore della natura selvaggia dove, alla stregua di un apprendista stregone, lo coltiva come cura contro le malattie. È decisamente un soggetto singolare che vive costantemente la sua avventura teatrale con una sorta di indole sciamanica che la porta ovunque.
Spaghetto elettrico, come la chiamavano da piccola, si descrive così: «sono insaziabile, curiosa, sono una danzarina cosmica, faccio performance per il mondo, nel posto dove mi trovo. Danzando, portando un altro sguardo, bellezza o quanto meno stupore. Sono paladina della libertà d’espressione creativa, che è il mio lavoro cosmico. La mia religione è l’apostolato dello stupore. Mi piace sentirlo così, crederlo così, e crearlo così».
Cresciuta in un ambiente tradizionale, dopo gli studi Patricia abbandona presto la professione di guida turistica per inseguire il fascino del teatro vissuto come una costante sorpresa in cui dare spazio a esperienze di ogni genere. Anche importanti. Come l’incontro negli anni 90 con Marco Baliani e Maria Maglietta che le dà la possibilità di partecipare a diverse produzioni e tournées di cui ricordiamo almeno Lola che dilati la camicia con Cristina Crippa, uno spettacolo rimasto in cartellone per molte stagioni.
Nella nostra regione è protagonista per diverse stagioni con il Teatro Pan di Vania Luraschi, Cinzia Morandi e Elena Chiaravalli, con spettacoli come Tic Tac e il tempo sospeso, Barbablù, Un cestino di lucciole ma anche Lettera a Pan. Recentemente Scena viva, il progetto online della RSI dedicato ai nostri artisti, le ha registrato Il manifesto di Pat, una lettura con cui riassume la sua filosofia artistica incentrata sulla libertà di espressione come autoguarigione ed equilibrio energetico. Una performance che riassume la sua ricerca in stretta relazione fra arte e salute, un manifesto che si addice al periodo che stiamo vivendo.
Piero Ciampi, la persecuzione dell’indifferenza
In attesa di una sospirata normalità, ci stiamo abituando a seguire spettacoli in rete: un’eventuale prospettiva per il futuro che, visto il momento, dobbiamo considerare come un’opportunità. È così che fra le diverse iniziative il Teatro di Chiasso e il Teatro di Locarno si sono uniti come streamers per offrire gratuitamente una serie di proposte online con un programma tutto al femminile che ha debuttato, in concomitanza con la serata finale del festival di Sanremo, con E bastava un’inutile carezza a capovolgere il mondo. Racconto anarchico e poetico di Piero Ciampi, un progetto di Arianna Scommegna e Massimo Luconi.
In scena Arianna, un tavolo polveroso, una sedia. Con lei la fisarmonicista Giulia Bertasi, autrice dell’adattamento e della drammaturgia di un recital fra musica e parole sulla figura di Piero Ciampi (1934-1980), cantautore e poeta livornese che ha segnato la musica italiana degli anni 60-70 con il suo mondo anticonformista, anarchico, bohémien. Artista maudit, Ciampi si racconta attraverso i testi delle sue canzoni farcite di struggente poesia, stralci di verità di una vita smodata, provocatoria e fuori dalla normalità, affogata nell’alcol.
«Ha tutte le carte in regola per essere un artista. Vive male la sua vita. Ma lo fa con grande amore», recita uno dei suoi brani più famosi, poi ripreso da Gino Paoli: uno dei pochi ad aver compreso il suo male di vivere e la sua grandezza nell’unicità con cui superava, già ai suoi albori, la scuola genovese. Quella di Luigi Tenco, Gian Piero Reverberi e dello stesso Paoli che lo considerava il migliore di tutti noi.
Arianna Scommegna ce lo restituisce con voce vissuta e appassionata, fra momenti cantati e la cronaca di un’anima addolorata, di un poeta caustico e disperato che maledice la vita dove c’è sempre «un qualche Cristo che sale stanco e senza scampo una salita…» Ciampi è emarginato come «un uomo solo e senza armi», governato dal dolore e dall’ingiustizia sociale, circondato dall’«indifferenza che in questo mondo ci perseguita».
«La prima volta che l’ho sentito – ha raccontato l’attrice – ero bambina. Perché il mio papà, (Nicola di Bari, ndr), ha cantato una sua canzone: Io te e Maria». Con una toccante prova Arianna ci ha regalato un sospiro di poesia con i versi sgorgati da una vita a precipizio.