Riportare l’attenzione sul territorio, non tanto su specifiche situazioni di degrado o bisognose di salvaguardia, ma sulla nozione stessa di un termine di grande attualità e sovente confuso con altri concetti, simili ma distinti. È questo l’obiettivo dell’ultimo libro di Claudio Ferrata che sarà presentato mercoledì 27 settembre alle 17 al LACshop sotto forma di conversazione fra l’autore e l’architetto Enrico Sassi. La riflessione del geografo ruota attorno al concetto di abitare, dimensione che in un’epoca caratterizzata da reti e flussi resta comunque ancorata alla realtà materiale e sociale del territorio. Il territorio resistente è appunto il titolo del piccolo volume edito da Casagrande che in una cinquantina di pagine mette a fuoco i valori e i significati assunti dal concetto nel tempo con puntuali riferimenti alle grandi figure della disciplina.
Il percorso dell’autore è identificabile già nell’illustrazione di copertina, dove la mappa di Bedolina, incisione rupestre della Val Camonica, s’incrocia con la rappresentazione del mondo globale contemporaneo. Ferrata parte dal significato etimologico del termine, che rimanda ad attività agricole come pure ad azioni difensive, per giungere attraverso il senso attribuitogli nelle diverse discipline alla dimensione geografica. Il territorio diventa allora spazio organizzato, «ha una propria configurazione e dei limiti: punti, linee superfici sono elementi di quella che potrebbe essere definita la sua grammatica elementare». Grammatica ben rappresentata proprio dalla mappa di Bedolina.
Il territorio non risponde però a una definizione statica essendo il frutto di un processo continuo. Su di esso incidono attori con interessi divergenti che generano conflitti. Famiglie, imprese, gruppi ed entità pubbliche rappresentano le forze in gioco su un territorio che può allora essere visto come «una grande “arena sociale”, un luogo che permette lo svolgimento dell’azione collettiva e che, a sua volta, è il prodotto di una dinamica sociale». Esso è inoltre luogo d’identità e qui Ferrata si sofferma sul rischio che la dimensione locale può comportare se idealizzata e strumentalizzata.
Il sottotitolo del volume – Qualità e relazioni nell’abitare – evidenzia un altro aspetto chiave della riflessione di Ferrata. Si tratta del ruolo dell’urbanistica che, secondo l’autore, «sopraffatta dalle forze del mercato e poco incline ad assumere posizioni critiche», fatica a gestire la crescente complessità. Il suo mandato regolatore dovrebbe essere meno tecnico e più sociale. Scrive l’autore: «Sarebbe necessario che l’urbanistica si delineasse come disciplina che si occupa dell’insieme di relazioni, conoscenze e pratiche sociali inerenti lo spazio, e il suo obiettivo dovrebbe essere il raggiungimento della qualità dell’abitare». Secondo Ferrata per raggiungere questo traguardo è indispensabile un approccio interdisciplinare che coinvolga tutte le forme di sapere strettamente legate al territorio, dall’urbanistica all’ecologia, dalla geografia all’antropologia, dalla sociologia all’archeologia. Solo così è possibile compiere un progresso a livello qualitativo, passando dal progetto sul territorio al progetto di territorio secondo il concetto dell’urbanista Alberto Magnaghi.
Nell’analisi di un contesto così articolato non si può sottovalutare il ruolo giocato dalla scala di osservazione. Una visione dall’alto, ad esempio grazie a Google Earth, o dal basso, dal punto di vista di chi vive una realtà locale, offrono conoscenze parziali. «Se cambia la scala, cambia la problematica», scrive Ferrata, citando l’esempio del progetto di treno ad alta velocità Lione-Torino che percorre la Valle di Susa. «Nell’analisi territoriale occorre quindi saper transitare da un ordine di grandezza all’altro, da una scala all’altra».
Per affrontare i problemi di organizzazione del territorio bisogna però innanzitutto capire quali valori si desidera privilegiare. È questo quanto evidenzia Claudio Ferrata nella fase conclusiva della sua riflessione, richiamando le nozioni di «territorio-laboratorio» del geografo veronese Eugenio Turri. Il territorio va visto anche come «il prodotto di immaginazioni, visioni e valori dei suoi abitanti» e va quindi studiato con grande attenzione prima di applicarvi conoscenze teoriche, tenendo conto anche della componente politica di ogni intervento (il «territorio-problema» di Turri).
Dopo l’ampia analisi dedicata al paesaggio, sfociata nel 2013 nella pubblicazione del volume L’esperienza del paesaggio. Vivere, comprendere e trasformare i luoghi, Claudio Ferrata aiuta con questo breve saggio a chiarire un altro concetto che negli ultimi anni ha acquisito grande visibilità. Se il primo è caratterizzato in prevalenza dagli aspetti legati alla rappresentazione, all’esperienza e alla cultura, il secondo insiste sulla produzione sociale. La qualità dello spazio costruito, la sostenibilità ambientale e quella sociale e il bene comune sono i valori ai quali rimandano le considerazioni di Ferrata che si rivolge non solo ad addetti ai lavori o insegnanti, ma a tutti gli interessati a riportare il dibattito sull’aspetto sostanziale della questione in modo chiaro e preciso.