Il termine flâneur non indica soltanto una persona che bighellona nella strada e che ha il tempo per farlo, ma anche uno stato d’animo, un privilegio, si direbbe una certa andatura disinvolta ed elegante che automaticamente associamo alla città di Parigi. Lauren Elkin, studiosa statunitense, emigrata a Parigi, in Flâneuse. Donne che camminano a Parigi, New York, Tokio, Venezia e Londra, edito da Einaudi con la traduzione di Katia Bagnoli, si domanda che cosa significhi flâner nel momento in cui a permettersi la libertà di muoversi nello spazio pubblico sono le donne. La sua prospettiva è molto chiara: «lo spazio è una questione femminista» dichiara, ma questo testo non si esaurisce affatto in un pamphlet di un’attivista politica: si tratta invece di un saggio ricchissimo, che racconta le esperienze di diverse artiste nelle città elencate e anche quelle dell’autrice che, come le donne di cui scrive, ha avuto la fortuna e il destino di vivere in molti luoghi.
Nata a Long Island Elkin scrive dei sobborghi delle città statunitensi, di come essi siano stati costruiti a partire dall’illusione della sicurezza, come se – scrive – quel tipo di contesto abitativo fatto di villette a schiera e viali che si ripetono tutti uguali rappresentasse un tentativo di restare alla condizione dell’infanzia: «i sobborghi presentano il mondo come se fosse ovattato». Da questa condizione di iperprotezione l’autrice si trasferisce a New York e poi a Parigi per un soggiorno di studi. È qui che per la prima volta comprende che il suo destino non è quello di rimanere là dove la trattengono le sue radici, bensì quello di bighellonare, di flâner. Ed è a questo punto del suo testo che inizia a condurre i lettori attraverso delle passeggiate letterarie nelle vite delle sue scrittrici di riferimento, prima di tutto Jean Rhys. Scopriamo, allora, non solo le varie tappe dell’esistenza di questa donna eccentrica e geniale, ma anche i luoghi di Parigi fondamentali per Rhys, nonché l’importanza che i suoi romanzi hanno avuto nel percorso di formazione di Elkin.
Poi, è la volta di Virginia Woolf: Elkin ci fa notare come: «la signora Dalloway fosse la più grande flâneuse della storia» e riporta l’incipit del romanzo Mrs Dalloway del 1925: «mi piace passeggiare per Londra». Ci accompagna quindi in un tour a Bloomsbury, nonché attraverso le diverse fasi della vita della grande autrice londinese, che scrisse Una stanza tutta per sé.
A Venezia, invece, insegue le tracce dell’artista Sophie Calle, mentre a Tokyo, dove Elkin si trasferisce per ragioni sentimentali, cerca di essere fedele all’insegnamento di Roland Barthes, che tanto si era appassionato alla cultura giapponese: «Barthes aveva avuto il mio stesso problema, però era più disposto ad adattarsi». Trovarsi in una città in cui non riesce a imparare la lingua e soprattutto a sottostare alle regole culturali imposte alle donne, come quella di non accavallare le gambe in pubblico – quando lo fa uno sconosciuto le dà uno schiaffo nell’interno coscia per correggerle la postura – le toglie il desiderio di attraversarla. Per Elkin, flâner presuppone un’attitudine all’incontro, un desiderio di conoscere e di diventare parte della città che si percorre, anche se non è quella in cui siamo nate o in cui abitiamo regolarmente: «cammino perché, in un certo senso, camminare è come leggere […] Sei sempre in compagnia. Non sei solo. Attraversi la città fianco a fianco con i vivi e i morti».
Da sempre questa libertà di potersi sentire in compagnia con degli sconosciuti, in luoghi pubblici, è un lusso che si sono potuti permettere solo gli uomini, non a caso Elkin dedica due capitoli alla storia di George Sand, la scrittrice nata all’anagrafe come Amandine Lucile Aurore Dupin, che decise di adottare un nome maschile quando, abbandonando la sua vita coniugale, si trasferì a Parigi, dove assistette e partecipò a diversi moti rivoluzionari. Così, nello stesso capitolo, Elkin ci racconta della comune di Parigi, ma anche della manifestazione a cui lei stessa ha partecipato dopo l’attacco terroristico a Charlie Hebdo. Attraversare Parigi significa, in effetti, solcare le tracce della rivoluzione.
Il libro intero, per come è strutturato, attraverso dei passages tra le esperienze delle artiste e quelle dell’autrice stessa, è una flânerie letteraria, decisamente originale e da cui si impara molto: «la flâneuse esiste ogni qualvolta deviamo dalla strada che è stata tracciata per noi, partendo alla ricerca di un territorio nostro».