Dove e quando

Re-Orientations. Europa und die islamischen Künste, 1851 bis heute, Zurigo, Kunsthaus (Heimplatz); fino al 16 luglio 2023. Orari: ma, ve e sa 10.00-18.00; me e gio 10.00-20.00. www.kunsthaus.ch


Lo sguardo dell’Occidente al mondo orientale

Mostra  ◆  Il Kunsthaus di Zurigo racconta un capitolo importante della storia culturale europea
/ 03.07.2023
di Elio Schenini

Re-orientations, «ri-orientamenti», il titolo della mostra curata da Sandra Gianfreda, visitabile al Kunsthaus di Zurigo ancora fino al 16 luglio, dichiara in maniera inequivocabile il suo obiettivo: quello di indagare – con un approccio critico che tenga conto dei recenti sviluppi emersi nell’ambito degli studi postcoloniali – lo sguardo che l’Occidente ha rivolto al mondo orientale a partire dalla metà dell’Ottocento.

Negli intenti della curatrice non si tratta quindi di proporre l’ennesima mostra sull’Orientalismo, con tutto il suo carico seducente e al contempo ambiguo di esotismo, ma, piuttosto di mettere in evidenza il fenomeno di quella vera e propria «islamofilia» emersa nel corso dell’Ottocento in alcuni circoli ristretti di persone, partendo dalle decisive riflessioni elaborate negli ultimi decenni dal professor Remi Labrusse, che non a caso figura tra i consiglieri scientifici che l’hanno affiancato nell’elaborazione del progetto. Pur non essendo completamente immune dai consueti vizi orientalistici, l’islamofilia ottocentesca, la definizione è dello stesso Labrusse, si differenzia nettamente e in molti casi si contrappone all’approccio «superficiale» di un Orientalismo in cui prevale la dimensione del sogno, della fantasticheria, della passionalità e dell’esotismo.

Quello dell’islamofilia è un fenomeno che caratterizza in modo particolare collezionisti e artisti, categoria, quest’ultima, che in questo caso non include unicamente pittori e scultori, ma in cui sono ampiamente rappresentati gli esponenti delle arti applicate, ed è direttamente legata al ruolo centrale che occupa l’ornamento nella cultura Ottocentesca. Come scrive giustamente Ariane Varela Braga nel suo saggio in catalogo, l’Ottocento è stato il secolo per eccellenza dell’ornamento, considerato la forma artistica in cui si riassume stilisticamente l’essenza di un periodo storico.

Nella logica eclettista e storicista che pervade il XIX secolo, attorno all’ornamento si sviluppano così riflessioni teoriche e aspirazioni enciclopediche che sfociano in innumerevoli tentativi di sistematizzazione storica e linguistica il cui apice è indubbiamente costituito da Grammatica dell’ornamento pubblicato nel 1856 da Owen Jones. In questa vera e propria bibbia della decorazione ornamentale, l’arte islamica non può che avere un ruolo di primo piano anche perché rinunciando, per ragioni religiose, alla figurazione essa ha da sempre dovuto cercare altre forme di espressione che non fossero il calco mimetico del reale. Il complesso e pervasivo intreccio di elementi floreali, geometrici e calligrafici tipici della decorazione islamica, a partire da questo momento è considerato elemento linguistico essenziale da inglobare nell’elaborazione di una stilizzazione ornamentale che corrisponda a un’epoca che sulla base della propria espansione coloniale in ogni angolo del pianeta (ed è questa una contraddizione che la mostra continuamente sottolinea) aspira all’universalismo.

Se un appunto può essere fatto a questa mostra che riesce ottimamente a raccontare un capitolo importante della storia culturale europea riguarda gli inserti di artisti contemporanei che punteggiano il percorso espositivo

Le varie tappe della scoperta ottocentesca dell’arabesco prendono corpo in un allestimento curato indubbiamente con grande attenzione che inanella episodi ben noti di questa vicenda ad altri praticamente sconosciuti: dal collezionismo di Albert Goupils e Karl Ernst Osthaus, alle ceramiche di Théodore Deck, William De Morgen e J. & L. Lobmeyr, dai mobili di Carlo Bugatti agli splendidi e modernissimi abiti disegnati da Mariano Fortuny.

Ampiamente noti sono invece i capitoli pittorici di inizio Novecento di questa vicenda, dagli oggetti orientali (tappeti, mobili e ceramiche) che popolano i quadri di Matisse già molti anni prima del suo soggiorno in Marocco nel 1912, al viaggio di Kandinsky e Gabriele Munter in Tunisia nel 1904, cui farà seguito quello di Klee, Macke e Moillet nel 1912. È grazie a queste esperienze che il culto ottocentesco per l’ornamento si salda con l’aspirazione modernista a un linguaggio non figurativo. Un linguaggio puro, non compromesso con le contingenze della quotidianità, quello ricercato dagli artisti delle avanguardie, che aspirava a tradurre nelle forme e nei colori la dimensione spirituale dell’esperienza umana. Attraverso l’opera di questi artisti, l’islamofilia ha finito per convergere e contribuire in maniera decisiva all’elaborazione di alcune delle esperienze più significative della modernità occidentale.

Capitolo piuttosto dimenticato è invece quello di uno dei primi lungometraggi di animazione, L’avventura del principe Achmed di Lotte Reiniger. Film del 1926 ispirato alle vicende delle Mille e una notte, che visto oggi, in un’epoca di sempre più sofisticati virtuosismi grafici in 3D, appare ancora come un capolavoro assoluto che non ha nulla da invidiare alle mode del nostro tempo, grazie all’essenzialità delle sue silhouette nere che si rifanno al modello delle ombre cinesi e in cui possiamo trovare un preciso antecedente alle opere dell’artista americana Kara Walker.

Se un appunto può essere fatto a questa mostra che riesce ottimamente a raccontare un capitolo importante della storia culturale europea riguarda piuttosto gli inserti di artisti contemporanei che punteggiano il percorso espositivo. Non sempre, infatti, questi interventi riescono a sfuggire all’impressione di una posticcia volontà di attualizzazione di un discorso storico ben altrimenti fondato. Una volontà che sembra tendere unicamente a mettere in evidenza la dimensione transculturale e l’approccio postcoloniale. Purtroppo, però, al di là delle intenzioni, gran parte di questi interventi non risultano all’altezza degli altri capitoli che la mostra racconta.