Bibliografia
Filippo Domaneschi, Insultare gli altri, Torino, Einaudi, 2020



Linguaggio d’odio e scuse

Il linguista Filippo Domaneschi torna sulla tematica dell’hate speech, il linguaggio dell’odio che tanto interessa la linguistica italiana contemporanea
/ 02.11.2020
di Stefano Vassere

«È importante chiarire fin da subito che, ogni volta in cui verrà tirato in ballo un vocabolo impudente o scurrile, il nostro atteggiamento sarà simile a quello del chirurgo: sarà nostra premura maneggiare queste espressioni con cautela, afferrandole con attrezzi sterili».

Dopo il molto bello #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole di Federico Faloppa, ecco il quasi contemporaneo Insultare gli altri di Filippo Domaneschi. Oltre alla tematica, attuale e urgente, questo nuovo libro condivide con quell’altro una premessa; l’avvertenza inusuale che vede sia Faloppa che Domaneschi letteralmente scusarsi se, parlando di questa tematica, essi debbano ricorrere a citazioni di questo materiale così sgradevole. «Fate uscire i bambini, arrivano i linguisti», se si vuole.

Faloppa lo fa in una Nota dell’autore alla prima pagina utile dopo una dedica e il lungo e commovente esergo tratto da un libro di Alexander Langer, e dice quanto segue: «Dopo averci pensato a lungo, ho deciso di riportare – nel testo – insulti, ingiurie ed espressioni offensive nella loro interezza e grafia originale, senza censure». Domaneschi non tarda nemmeno lui, scusandosi nell’Avvertenza che apre il libro, dopo una decina di righe.

Queste scuse potrebbero sembrare a prima vista strane. Se la linguistica ha l’ambizione di essere una disciplina di qualche dignità e che ambisca a ispirarsi alle scienze maggiori, dovrebbe comportarsi come la biologia quando abbia a che fare con virus e batteri. Che sono magari cattivi e fanno male e nessuno vuole avere a che fare con loro, ma sono e restano l’oggetto di studio dello scienziato, che mai si sognerebbe di chiedere scusa per doverli maneggiare. In verità, quello che sembra essere accaduto al linguaggio d’odio è un processo linguistico ben noto e studiato; il trasferimento del carattere violento del parlante e dei suoi intenti dal parlante stesso alle parole. Non sono più forse violenti i parlanti, o non lo sono più, ma si è incattivito il sistema linguistico. Tanto che il solo pronunciare o scrivere insulti o parolacce fa sentire in colpa anche gli specialisti più seri e all’avanguardia.

Più che una lunghissima premessa, quanto detto è un fatto di sostanza, perché ci dice qualcosa di cruciale in questo campo: che il linguaggio sedimenta il materiale sgradevole ben più che le mentalità che ne sono all’origine. Prendiamo il sessismo, o il razzismo: ci sono culture che probabilmente hanno superato questi atteggiamenti ma che ne conservano la memoria nelle parole; e il solo pronunciarle le richiama all’attualità e le rinvigorisce.

Detto questo, va aggiunto che il libro di Domaneschi apre certamente nuove prospettive nell’ambito di questa molto responsabile direzione di studi. Soprattutto quando promuove la tesi secondo la quale in un qualche modo non possiamo fare a meno degli insulti; o quando descrive la scena dell’insulto nelle tre figure fondamentali dell’insultante, dell’insultato e della non secondaria componente del pubblico, degli spettatori che assistono. L’insulto ha poi una sua variabilità di genere, se è vero che la fucina degli improperi rivolti agli uomini pesca nel dominio della razionalità mentre quelli dedicati alle donne si alimentano nella ricca sfera della sessualità; per non parlare dell’ampio serbatoio legato ai tabù, quello alimentare e, di nuovo, quello sessuale.

Infine, se si è abituati a considerare legittimamente il lessico, il settore delle parole, come la parte di sistema più interessata dagli insulti, Domaneschi esplora campi nuovi e produttivi: esiste di fatto anche una fonologia dell’insulto (le four letters words, «parolacce», dell’inglese), una morfologia (forme di parole, terminazioni, suffissi ecc.), una sintassi (dire «Quel tale è gay» non è la stessa cosa di dire «Quel tale è un gay», come ben percepiamo pronunciando le due frasi).

Anche questo libro fa il suo dovere. Linguistico e civile.