In francese si chiamano faits divers: è la cronaca. I grandi narratori come Flaubert, Maupassant, Balzac trovavano spesso ispirazione per i loro romanzi a partire da ciò che leggevano sui giornali, al caffè. La cronaca racconta i fatti dell’umanità, la letteratura può trarne una visione.
Il caso dell’uccisione di Luca Varani ha travolto l’opinione pubblica in Italia nel 2016. Il ragazzo di ventitré anni è stato torturato e ucciso in un appartamento di Roma, senza nessuna apparente ragione. La brutalità con cui Manuel Foffo e Marco Prato si sono accaniti contro il giovane per ore non ha movente: non c’erano di mezzo soldi o questioni personali. I due, rinchiusi nell’appartamento in cui si svolse l’omicidio, da giorni a consumare cocaina e a bere alcolici, giunti a una sorta di accordo delirante, hanno invitato Varani, lo hanno drogato con un cocktail di alcol e psicofarmaci e lo hanno massacrato.
Questo è il caso su cui si concentra La città dei vivi edito da Einaudi, l’ultimo romanzo di Nicola Lagioia, scrittore italiano già vincitore del premio Strega nel 2015. Il narratore è un giornalista a cui viene proposto di fare un reportage sul caso Varani. In un primo momento si rifiuta, ma poi risucchiato da una curiosità invincibile e da una certa identificazione con la storia della vittima, inizia il suo lavoro di inchiesta. Il romanzo, allora, è un collage dei molti punti di vista coinvolti, dei protagonisti e delle comparse. Lagioia ricostruisce l’intero lavoro di indagine attraverso il personaggio del giornalista narratore, che nel romanzo incontra infatti tutti coloro che sono stati contattati dalle autorità, perché nel giro degli assassini e della vittima: gli amici di Luca Varani, coloro che lo conoscevano solo come un ragazzo solare e gentile e quelli che sapevano del vizio che aveva di giocare alle macchinette, di come non riuscisse mai a tenersi un soldo in tasca. E poi Filippo. L’unico che lo aveva accompagnato in macchina dai clienti con cui Luca si prostituiva per avere contanti in tasca, magari per portarci a cena la fidanzata, Marta Gaia, con cui aveva una relazione da nove anni.
Sono molti coloro che conoscevano Marco Prato, organizzatore di eventi e che compaiono nel testo con le loro opinioni sui fatti. Meno numerose invece le persone che frequentavano l’altro assassino, Manuel Foffo, che conduceva una vita più solitaria, dedicata soprattutto a cercare di riscattarsi da quello che ha sempre dichiarato essere il suo vero problema: il rapporto col padre, la preferenza che questi dimostrava nei confronti del fratello… Poi, i colloqui con gli altri ragazzi che erano stati invitati a quel festino dell’orrore prima di Luca e che si sono salvati. Coloro che hanno pensato, dopo aver saputo che cosa fosse successo, di aver scampato una morte atroce, e non hanno più potuto vivere come prima.
Il romanzo si basa su una ricerca e uno studio del caso a cui Nicola Lagioia ha dedicato anni, continuando a interrogarsi sulle ragioni che hanno potuto spingere due giovani uomini della medio borghesia a torturare un ragazzo di borgata. Si sofferma sulle perizie psichiatriche, sulle opinioni di coloro che hanno lavorato all’omicidio: inquirenti di esperienza, travolti anch’essi da una violenza così smisurata, perché insensata.
Nel libro Lagioia crea un parallelismo tra lo sprofondo infernale del caso e la perdizione della città in cui è avvenuto: Roma. Al tempo dell’omicidio la metropoli era commissariata, in uno stato di abbandono che si è perpetuato anche dopo le ultime elezioni. Accanto alla narrazione dei fatti del caso Varani corre parallela un’altra linea narrativa, dedicata a un’inchiesta che scoppiò poco dopo nella capitale italiana, relativa a una rete di pedofili che agiva indisturbata tra le rovine di una città e di un paese in declino.
Nel corso di tutto il romanzo il narratore prova a maledire il posto scomposto e mostruoso in cui si è trovato a vivere, Roma, poi desiste, proprio come ha fatto col caso Varani. Non voleva occuparsene, ma non ha resistito. In una storia talmente eclatante da non lasciare spazio a nessuna elucubrazione, a nessun ripiegamento, Lagioia pare solo non voler dimenticare come e quanto ognuno di noi, nel suo piccolo, sappia desiderare l’errore.