È segno di vera grandezza sopportare senza consumarsi – né venire a noia – le imitazioni, gli spostamenti di tempo e di luogo (dall’ottocento al duemila, dall’india bollywoodiana ai mormoni), i ribaltamenti, i seguiti, gli omaggi che somigliano a saccheggi, le versioni «dal buco della serratura», i club del libro con tè e pasticcini, i film tratti dai romanzi, i film biografici, i musical, i ribaltamenti di prospettiva, i personaggi secondari promossi a protagonisti, perfino l’invasione degli zombie.
A Jane Austen è successa ogni cosa, comprese le volenterose fanciulle che – dopo qualche scaramuccia per conquistare un antipatico di dubbio fascino – sentono il bisogno di trasformare le loro faccende private in romanzetti rosa da definirsi «austeniani» sul risvolto di copertina. A leggerli senza una dritta, infatti, nessuno mai li accosterebbe al genio che dallo scorso 18 luglio, in occasione del bicentenario, ha scalzato il naturalista Charles Darwin sulla banconota da dieci sterline.
Il ritratto è sempre lo stesso, tracciato dalla sorella Cassandra – e un pochino ritoccato nei riccioli che spuntano dalla cuffietta e nel naso all’insù. Accanto, in miniatura, la scrittrice al suo tavolino portatile: glielo aveva regalato il padre George, pastore anglicano che l’aveva fatta studiare e cercò all’inizio di farle da agente, con scarso successo. Lei era più brava, con i suoi romanzi mise insieme un centinaio di sterline, prudentemente collocate in banca.
Il rosa e Jane Austen in comune non hanno nulla. Certo, alla fine Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy si sposano, ma non è questo l’importante (né è importante sapere se poi vissero felici e contenti, allietati da una schiera di bimbi, e piantatela di ambientare romanzi gialli a Pemberley). I soldi compaiono già nella prima frase – «È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di una solida fortuna debba essere in cerca di una moglie». Se ne parlerà di continuo. In Orgoglio e pregiudizio come negli altri romanzi della scrittrice, con l’eccezione solo di L’abbazia di Northanger, satira dei romanzi gotici in voga all’epoca tra le signorine in cerca di brividi.
Si parla di soldi, e di matrimoni come sistemazione: a quei tempi una signorina i soldi o li ereditava o li sposava (meglio se tutte e due). C’era perfino un «mercato nazionale del matrimonio» – l’espressione è forte, ma non se ne trova una migliore, e comunque non è nostra, l’abbiamo letta in un saggio di Franco Moretti – che si teneva a Bath. Le signorine da marito e gli scapoli benestanti in cerca di una moglie facevano conoscenza alle terme, oltre che ai balli.
«Ho pensato tante volte di scrivere un saggio contro Jane Austen. Ho dovuto rinunciare. Quando comincio a leggerla vado su tutte le furie, ho voglia di disseppellirla e di spaccarle il cranio con la sua stessa tibia». Il lettore furioso è Mark Twain, certo non le manda a dire. Storceva però il naso anche Virginia Woolf – «la più perfetta tra le donne» non è esattamente un complimento – e Charlotte Brontë, che non trova negli scritti di Miss Austen sufficiente energia, entusiasmo, commozione, cuore. In effetti Jane Eyre funziona diversamente, e nessuno oserebbe paragonare quel romanzo a «un giardino ben tenuto». Però sempre di matrimonio come sistemazione si tratta, fermamente voluto dalla fanciulla: da qui il grido vittorioso «lettore, l’ho sposato», dopo che la moglie pazza nascosta in soffitta ha rovinato la prima cerimonia.
Tolti i cuori di pietra, e le scrittrici che con Jane Austen rivaleggiano – mettiamoci anche la vicina di casa che dopo aver letto Orgoglio e pregiudizio dichiarò «che assurdità» – nessuno resiste alla bravura della scrittrice. Alla sua abilità nell’uso di quel che si chiama – scusate il tecnicismo, ma se parlassimo di cucina sarebbero ammesse parole come chiarificare, deglassare, o mantecare – «stile indiretto libero».
Certi romanzieri descrivono i personaggi e le loro azioni guardandoli dall’esterno. Altri romanzieri – appunto Virginia Woolf – raccontano quel che succede dentro la testa dei personaggi. I più bravi riescono in un magnifico dentro & fuori. Sembra che stiano osservando da spettatori una situazione. Poi cambiano prospettiva, senza farsi notare, e all’improvviso ci accorgiamo che il punto di vista non appartiene più al romanziere ma a Elizabeth Bennet. E la signorina da marito subito ne approfitta per una risposta o un’osservazione delle sue. Chi non applaude non ama i romanzi.