Valigia musicale – testo
1. «Crêuza de mä» di Fabrizio de André – Succede che si ascolta musica, si è adolescenti e per caso nel marasma tra metal e cantautorato un incontro rende ogni cosa diversa per sempre. Per me lo è stato la scoperta di Crêuza de mä: un disco che ha aperto mondi sonori e linguistici lontanissimi, il Mediterraneo non era più un mare ma un ponte verso il resto del mondo. Negli anni ho poi sondato i vari sentieri della sperimentazione sonora, ma qualcosa mi riporta sempre lì, ai suoni dei popoli. Proprio questa tensione mi ha spinto a organizzare – con altri giovani della regione – un festival di musiche dal mondo a Roveredo, il 1° luglio: Grin Festival.
2. Radio mangianastri dai colori sgargianti – Per diversi anni, in gioventù, le grigliate al fiume erano animate con una radio mangianastri dai colori inesprimibili a parole. Tra acqua, fumo delle grigliate e colpi sui sassi quella radio emetteva spesso suoni veramente strani. Poi sono arrivati supporti audio più tecnologici, e solo pochi anni fa – per dar seguito all’ennesima creazione del visionario Vasco Viviani, ovvero l’etichetta OBR – mi è toccato resuscitare dal fondo della cantina la vecchia radio. La musica prodotta da Viviani è infatti quella che piace a me, ma lui la pubblicava solo su musicassetta e l’unico modo per ascoltarla era la vecchia radio delle grigliate. Non saprò mai se la riproduzione sia davvero fedele, ma continuo ad ascoltarle lì e le cassette suonano vive e profonde.
3. «La jetée» di Chris Marker – Lo guardavo e non ci credevo, lo ascoltavo e ci credevo ancora meno, non pensavo potesse esistere qualcosa di così scarno e ricco allo stesso tempo. Questo cortometraggio del 1962 composto da fotografie e colonna sonora ti fa dimenticare che il cinema è movimento. L’immagine statica viene animata e resa fluida dai suoni, nella breve durata del film smetti di ascoltare e di guardare, ma dolcemente ti perdi nell’iper-stimolazione dei due sensi sovrapposti.
4. Cuffie e registratore di classe semi-proletaria – Per il mio primo lavoro tra fotografia e suono dovevo registrare il suono di un’accetta che scava un tronco, prima di fotografarlo. Mi avevano prestato registratore, microfono e cuffie di qualità discreta, ma appena accesi è accaduto il miracolo: i rumori attorno a me apparivano amplificati nel volume e nella forza. Me ne sono andato in giro per il bosco tutto il pomeriggio, tra incredulità ed esaltazione perché ogni cosa aveva suono e ogni oggetto sembrava diventare strumento musicale. Per chi si occupa regolarmente di suono può sembrare banale, ma la prima volta non si scorda mai.
5. «A Love Supreme» di John Coltrane – Quando ancora frequentavo la scuola propedeutica ho avuto come insegnante di musica Christian Gilardi, ora responsabile musicale della RSI. Stabilita un’affinità che si potrebbe dire elettiva, mi chiese se mi sarebbe piaciuto aiutarlo per una cosa chiamata Altrisuoni. Il nome mi piaceva e per questo accettai, imparando a conoscere la più importante etichetta di musica jazz che la Svizzera italiana abbia mai avuto. Christian mi fece conoscere A Love Supreme: ascoltandolo e riascoltandolo ho capito che l’amore è un sentimento alto, sublime e supremo.