Invitare la gente a leggere libri è compito improbo, che sembra votato al fallimento; soprattutto se l’invito proviene proprio da un concorrente diretto del libro, cioè l’audiovisivo, e se quindi l’invito prende la forma dell’appropriazione fulminea, e un po’ rapinosa, di qualcosa che richiede invece un ritmo e un passo diversi, ma soprattutto l’esercizio di doti in via di estinzione, la capacità di essere pazienti e la disponibilità all’ascolto e al dubbio. Con una certa costernazione, vediamo financo come certa letteratura, per cinicamente sdoganarsi presso il pubblico, arrivi a negare sé stessa, facendosi una sorta di goffa replica del mondo dell’audiovisivo; e non è un bel vedere, né un bel leggere.
Sono lontani i tempi di Apostrophes (1975-1990), con cui ammetto di aver ammobiliato parte dei miei venerdì losannesi; ma anche la televisione era allora altra cosa, e pure il nostro rapporto con «lei» era diverso, complici l’assenza di telecomando e la convinzione che la scatola sarebbe stata accesa solo in presenza di occasioni che meritassero di distrarci dal molto altro che faceva della nostra vita quella bella e vertiginosa cosa che era, e tra quell’altro il libro era il sia il porto di quiete sia il viatico per l’emozione. Da quegli anni, tentativi innumeri che appunto scontarono quell’accamparsi un po’ imperialistico dell’audiovisivo e del suo modo di illuderci che fosse facile, possibile, appropriarsi delle cose senza la fatica di farlo, con una sorta di osmosi visuale.
Il servizio pubblico radiotelevisivo ha, tra i suoi compiti, quello di farsi veicolo di mediazione culturale e di formazione; un impegno particolarmente gravoso, pare, quando si tratta di libri. Dalle nostre parti si è visto di tutto, il meglio (in radio) e (in tivù) il mediocre, o addirittura il peggio; in taluni casi, è sorto il dubbio che lo scopo dell’esercizio fosse quello di screditare il nobile passatempo della lettura, o di far diventare l’esperienza del libro non quella del confronto con una storia, un linguaggio e un mondo, ma solo il modo per fornire idee per ammobiliare uno scaffale con oggetti multicolori di cui si legge solo la prima e la quarta di copertina. Ma i poveri esiti di taluni tentativi non sono motivo per abbandonare la battaglia, a patto che si voglia adeguatamente armarsi per combatterla e, soprattutto, che si comprenda la posta in gioco.
Trovo assai consolante assistere a trasmissioni come Literaturclub della SRF, che replica un po’ le modalità pivotiane e nella quale – alla presenza di un pubblico minimo e silenzioso – si discute per un’ora e un quarto di libri nuovi e meno, attorno a un tema o a un personaggio, con critici e autori. Il tutto senza pedanteria ma anche seriamente, senza scorciatoie da intrattenimento, affrontando cioè i temi con il piglio che ci vuole. Una trasmissione bella, educativa ma non paternalista, molto stimolante; costruita in modo semplice e attento, senza fronzoli e con un amore vero per la stupenda fatica del leggere, di fronte alla quale taluni esercizi un po’ circensi sembrano poca e molto velleitaria cosa. Parrebbe brutto banalmente replicarla?