L’esposizione attuale alla Fondazione Svizzera della Fotografia presenta più di un tocco di originalità: non è dedicata strettamente a un fotografo, bensì a quello che oggi chiameremmo art director, tra l’altro quasi sconosciuto tra i non addetti ai lavori.
Si tratta di Peter Knapp, classe 1931, nato a Bäretswil, nell’Oberland zurighese, formatosi alla celebre Kunstgewerbeschule di Zurigo, abile nel riconoscere e sfornare tanti talenti svizzeri nella comunicazione visiva per poi trasferirsi a Parigi negli anni Cinquanta e dare inizio alla sua carriera. Nella capitale parigina si fece immediatamente notare per la sua grande capacità creativa nel campo della grafica, segnatamente per la sua facilità nel coniugare testo e immagine in modo innovativo. Nel 1959 fu assunto come art director al settimanale «Elle» e contribuì a fare della rivista un punto di riferimento culturale per le lettrici francesi del tempo. È utile contestualizzare ciò di cui stiamo parlando, in quanto il confronto con le riviste attuali non deve trarre in inganno. Nei casi più illuminati, i settimanali e mensili femminili nel secondo dopoguerra, per almeno due decenni, furono degli straordinari terreni di sperimentazione visiva e aggiornamento culturale. La pubblicità era meno invasiva e presente rispetto a quelle attuali – non c’era ancora la concorrenza della televisione e le stesse tirature raggiungevano, come i magazine più politici, risultati straordinari in termini di milioni di copie. «Elle», sotto la condirezione di Hélène Lazareff, regina dei salotti parigini, si contraddistingueva per una redazione quasi tutta al femminile e per il contributo di firme prestigiose (Françoise Sagan, Simone de Beauvoir e Marguerite Duras), oltre che per il fatto che non si sottraesse a trattare temi d’attualità spinosi come aborto e rivendicazioni dei diritti delle donne.
Potremmo dire che Knapp contribuì a tradurre un insieme di tensioni verso il nuovo – che sfociarono pochi anni dopo nel Sessantotto – in una sorta di inedito universo visivo. Negli anni che precedettero questi eventi, «Elle» interpretò lo spirito del tempo e divenne un’«istituzione» in fatto di moda ma anche in fatto di emancipazione femminile, offrendo un immaginario inedito alle moltissime lettrici – più di due milioni nei momenti di massimo successo. Le novità di contenuto rispetto al passato furono molte. A partire dalle protagoniste, le donne riprese: non erano più dive del cinema o figure statuarie in abito da sera, tutt’altro. Spesso furono scelte sapientemente tra studentesse e giovani lavoratrici, intercettate presso parrucchieri di grido. Il loro mondo non era più confinato alla cucina e alla cura della casa: le riprese, contestualizzate in città, le ritraggono come donne lavoratrici spesso in movimento nelle strade cittadine, con capi fluttuanti, riprese istantanee, effetti flou e riprese con grandangolo. Non a caso alcune delle pose preferite sono quelle che ritraggono la modella nel momento in cui scende o sale le scale, mentre attraversa le strisce pedonali, o compie un leggero salto per salire sul marciapiede: il maestro di questo stile, cui guardavano i giovani fotografi francesi, era l’americano Richard Avedon (1923-2004), esponente di punta dell’americana «Harper’s Bazaar». Le immagini, in seguito, venivano impaginate scardinando le regole della composizione tipografica in uso fino ad allora: il testo fluttuava libero accanto alle figure e, soprattutto nel caso della doppia pagina, le composizioni diventavano particolarmente innovative e ardite. Come se il corpo si sciogliesse, liberandosi da tensioni e legami, in vasti campi senza prospettiva.
Di questo ricco, colorato ed eterogeneo concerto visivo, come detto, Peter Knapp è stato per alcuni anni il brillante direttore d’orchestra; ma non solo, come testimonia l’esposizione a Winterthur, egli ritornava con piacere dietro la macchina da presa, producendo servizi senza fissarsi su un tipo di approccio artistico. Non mancano i riferimenti, le strizzate d’occhio, a ciò che succedeva nell’ambito dell’arte d’avanguardia contemporanea, dalla pop art alla op art.
Dopo il 1966, ritiratasi Lazareff per motivi di salute, Knapp preferì sciogliere il suo contratto, e operò prevalentemente come libero professionista per diverse testate europee («Vogue», «Stern» e «Sunday Times Magazine»), con incursioni anche in ambito cinematografico e televisivo.