Un'immagine giovanile di Isabella Eberhardt (Wikipedia)


Libera sempre

L’incredibile storia della breve ma intensa vita di Isabelle Eberhardt, amante ed esploratrice dell’Islam e «precursore» della tolleranza culturale
/ 03.05.2021
di Benedicta Froelich

Sebbene i cosiddetti «studi di genere» dell’ultimo decennio si siano rivelati cruciali nel dimostrare come i primi anni del Ventesimo secolo abbiano visto figurare diverse donne tra gli esploratori occidentali avventuratisi in terre più o meno ignote, molte di queste hanno conservato un’aura ben più misteriosa delle loro controparti maschili. Basti pensare a una figura che, più di ogni altra, meriterebbe l’appellativo di «pioniera» dell’interculturalità: la ginevrina Isabelle Eberhardt, la quale avrebbe spinto la propria passione per il mondo arabo fino al punto di abbandonare completamente la propria reale identità in favore di una nuova vita in Algeria.

Del resto, non sarebbe un’esagerazione affermare che la storia di Isabelle sia stata quantomeno anticonvenzionale fin dagli inizi come figlia illegittima di due «liberi pensatori»: la madre, Nathalie, aveva infatti abbandonato un tranquillo matrimonio aristocratico per scappare con il tutore dei figli, Alexander Trophimowsky, ex prete ortodosso convertitosi in anarchico e ateo convinto. Fuggiti in Svizzera, da sempre rifugio degli «irregolari» di ogni dove, si erano stabiliti a Ginevra, dove ai tre figli di primo letto di Nathalie si sarebbero aggiunti Augustin e, infine, Isabelle, nata nel 1877. Cresciuta nell’eccentrico caos di casa, l’ultimogenita ebbe in dono dal padre una cultura pressoché enciclopedica: tra le altre lingue, imparò anche l’arabo classico, che accese in lei la curiosità per le terre nordafricane.

Fu così che, appena adolescente, Isabelle, già innamorata della letteratura, s’imbatté nel punto di svolta della propria vita – la corrispondenza con Eugène Letord, ufficiale francese di stanza nel Sahara: un «amico di penna» che l’avrebbe fortemente incoraggiata ad abbandonare la patria a favore dell’Africa. Il fatto che la giovanissima rampolla di casa Trophimowsky riuscisse a farsi una cultura enciclopedica sul mondo islamico semplicemente attraverso le lettere di Letord la dice lunga sulle sue intenzioni: lungi dal voler essere una semplice turista, Isabelle prese infatti a scrivere racconti e romanzi ambientati nelle terre nordafricane, le cui trame erano ben lontane da quanto ci si sarebbe potuti aspettare da una ragazza ginevrina di buona famiglia.

Lavori come il racconto Infernalia (su un caso di necrofilia) e Visioni del Maghreb (l’impossibile storia d’amore tra una donna russa e un mistico algerino) mostrano come il suo amore istintivo e assoluto per quei luoghi esotici permettesse all’immaginazione della Eberhardt di vincere sull’esperienza – il tutto ben prima che, nel 1897, si trasferisse infine in Algeria, nel dipartimento francese di Bône, dove lei e la madre si sarebbero immerse completamente nella cultura araba, convertendosi alla religione islamica.

Ma fu nel 1900, dopo la morte di ambo i genitori, che, una volta ritrovatasi sola (e assolutamente refrattaria a una vita in Svizzera), Isabelle decise di abbracciare del tutto la propria nuova vita, con la completa trasformazione da donna occidentale della buona borghesia in viaggiatrice androgina. La testa rasata sotto il fez, la Eberhardt divenne per tutti «Si Mahmoud Saadi», il suo nuovo alias maschile – e sotto queste spoglie s’imbarcò in un’esplorazione dell’Algeria che, all’epoca, le intellettuali della sua generazione potevano solo sognare.

Benché animata da una sorta d’autoimposto ascetismo, basato sulla rinuncia della propria femminilità in favore del ritorno a uno stato d’istintuale libertà (e al distacco dalle rigide regole imposte dalla società europea), la Eberhardt non era certo il primo rappresentante dell’intellighenzia europea a rifiutare la cosiddetta «civiltà» in favore delle esotiche terre d’Africa; eppure, la sua identità di donna rendeva l’impresa particolarmente ardua, almeno agli occhi dei contemporanei. Forse per questo, ella risolse il problema tramutandosi in una figura misteriosa e dall’aura indefinibile – dedita all’esaltazione delle privazioni fisiche, eppure, allo stesso tempo, mossa da una prorompente sensualità.

La vita priva di compromessi di Isabelle non avrebbe subìto grandi cambiamenti neppure dopo l’incontro con Slimane Ehnni, soldato algerino che sposò nel 1901: presto disillusa dalle ambizioni borghesi del consorte, si buttò di nuovo nel lavoro, scrivendo per il giornale Al-Akhbar e pubblicando il suo romanzo giovanile Trimardeur («vagabondo»).

Nel frattempo, oltre a essere ammessa nell’antico ordine Sufi della Qadriya, svolse lavoro diplomatico come intermediaria tra l’amministrazione coloniale del generale francese Lyautey e i locali (dandosi da fare anche in qualità di spia). Tuttavia, la conversione all’Islam e le palesi tendenze anticolonialiste portavano molti europei a scansarla, e presto la Eberhardt si ritrovò in povertà, la salute minata da frequenti attacchi di malaria (oltreché dalla grave ferita riportata nel 1901, in un attentato alla sua vita per mano di un fanatico).

Fino al 21 ottobre del 1904, quando un’improvvisa inondazione colpì il villaggio di Aïn Séfra, dove lei e Ehnni alloggiavano; data per dispersa, l’appena ventisettenne autrice venne poi ritrovata senza vita tra le macerie, circondata dalle proprie, preziose carte – le quali avrebbero costituito la base delle pubblicazioni postume, inaugurate dall’editore Barrucand con i primi due di una lunga serie di volumi destinati a costituire l’opera omnia della Eberhardt (Dans l’ombre chaude de l’Islam e Notes de route: Maroc-Algérie-Tunisie, pubblicati rispettivamente nel 1906 e 1908).

Tuttavia, il lascito di Isabelle va ben oltre la sua vita pittoresca e vagamente convulsa: l’assoluta modernità dei suoi scritti, caratterizzati da posizioni apertamente tolleranti e femministe, resta a imperitura testimonianza di uno spirito libero e precursore – lo spirito di una donna indomita che, al pari del ribelle Dimitri, protagonista di Trimardeur, è stata disposta a qualsiasi sacrificio pur di preservare fino all’ultimo la propria libertà interiore.