«In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, stragi ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù». Che la famosa battuta di Orson Wells nel Terzo uomo sia basata su un falso storico è risaputo. A dare i natali al celebre orologio con l’uccellino che scandisce le ore è stato infatti un orologiaio della Foresta Nera. Eppure, a dispetto della sua imprecisione filologica, la battuta di Wells ha avuto grande fortuna perché riflette una visione, indubbiamente stereotipata, ma ancora molto radicata del nostro paese. Un’immagine edulcorata, che gli svizzeri stessi hanno contribuito a costruire a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, forgiando l’idea di Willensnation che ben conosciamo a partire da alcuni miti fondativi radicati nel mondo contadino alpestre. Sono i miti dell’operosità laboriosa, dell’affidabilità, della discrezione, della precisione, della puntualità e soprattutto della neutralità.
Tuttavia, che l’immagine pacificata e bucolica di un paese autosospesosi dalla storia sia in gran parte una mistificazione posticcia, utile più che altro ad addomesticare allo sviluppo industriale le rudi e selvatiche popolazioni rurali, lo dimostra l’ampio successo che ha avuto l’Espressionismo in Svizzera agli inizi del Novecento. Un successo che ci viene raccontato da un’esposizione in corso, ancora fino al 16 gennaio, al Kunstmuseum di Winterthur.
Attraverso un centinaio di opere, la mostra documenta la penetrazione e la rapida diffusione in tutte le aree del paese, grazie a precursori come Cuno Amiet e Giovanni Giacometti, di questo movimento che anteponeva l’interiorità dell’artista a qualsiasi fedeltà ottica e che si rifaceva in egual misura al Fauvisme francese e agli espressionisti tedeschi della Brücke e del Blaue Reiter. La lezione di Van Gogh, di Gauguin, di Munch e di Kirchner si coglie infatti in maniera più o meno evidente, e spesso simultaneamente, in molti di questi dipinti dominati dal tratto nervoso e febbrile delle pennellate e dagli accordi cromatici acidi e dissonanti e soprattutto incongrui rispetto al soggetto rappresentato. Da questo innesto di sperimentalismo avanguardistico e di reminiscenze arcaiche sul tronco dell’arte locale è scaturita una produzione artistica tagliente e impietosa che ha saputo cogliere con acutezza il «disagio della civiltà» che in quegli anni Freud andava teorizzando.
Un’arte che è riuscita ad evitare sia le svenevolezze da souvenir di un mondo rurale ormai diventato miniatura di se stesso, che la vacuità decorativa di certa astrazione geometrica che nel secondo dopoguerra, con la rapida crescita finanziaria del paese, ha finito per assurgere al ruolo incontrastato di ideologia artistica ufficiale.
Altro che pacchiani orologi a cucù, dunque. Il mondo messo in scena dagli espressionisti svizzeri, soprattutto quello inciso vigorosamente negli anni Venti dalla triade Epper, Pauli e Schürch, è un mondo in cui si avverte la tragedia, in quel momento sempre più incombente, della modernità e nel quale la parola suissitude sembra veramente la crasi, come aveva osservato qualcuno tempo fa, di suicide e solitude.
Se un limite la mostra ce l’ha è proprio quello di non avere saputo approfondire e attualizzare in maniera sufficiente questo aspetto, come appare evidente fin dall’elementarità paratattica di un titolo che affianca semplicemente i sostantivi Svizzera ed Espressionismo senza provare ad articolarli sintatticamente. A differenza della mostra del 1975, tenutasi sempre a Winterthur, che è stata la prima occasione per riscoprire e scandagliare le tendenze espressioniste nel nostro paese, e da quella del 1990, curata da Pietro Bellasi a Ferrara e Locarno, che aveva offerto un’originale lettura del panorama culturale svizzero del XX secolo a partire dalla nozione di Espressionismo, quella attuale risulta forse più estemporanea, ma, vista la qualità delle opere esposte, non per questo meno degna di essere visitata.
Dove e quando
Expressionismus Schweiz
Kunst Museum Winterthur
Reinhart am Stadtgarten
Tel. +41 52 2675162
www.kmw.ch