«L’esperienza vale molto più della tecnologia»

Incontro – Di professione tecnica del suono, «cresciuta a pane e Kiss», Lara Persia si racconta tra passione e nuove sfide
/ 28.08.2023
di Alessandro Zanoli

Bisogna inoltrarsi lungo stradine nel bosco anche abbastanza impervie, per arrivare al Lemura Recording Studio di Lara Persia (amante degli animali, nella foto è ritratta assieme a uno dei suoi gatti). Forse è giusto così. Le sale di registrazione più importanti sono ricordate spesso per la loro particolare location, che riesce magari anche a diventare mitica. Qui, dalla collina di Agra si spazia sulla piana di Grancia e sull’autostrada. Le macchine, si vedono lontane, là in fondo. Scorrono quasi senza rumore, apparentemente… «Eh no, si sentono eccome: i microfoni sono molto sensibili e a volte riescono a captare il fruscìo» commenta sorridendo Lara. Lo Studio Lemura trova posto in una piccola costruzione, apparentemente normalissima, proprio al margine del bosco. Sembra una casetta di vacanza. Al suo interno invece, varcando la soglia, ci si trova nella plancia dell’Enterprise. Le pareti sono insonorizzate da pannelli speciali (molto coreografici, tra l’altro). Vari tipi di strumenti musicali, aste per microfoni, cavi, colonne audio e monitor video di ogni genere occupano gli spazi. Il pezzo più importante e suggestivo dell’impianto è la grande consolle del mixer…

Sembra davvero un pezzo di astronave!
Viene da New York. Era in uno studio molto grande che si chiamava Sound One. Su questa regia, dal 1978 in poi, sono state mixate un sacco di musiche da film famosi, e anche diversi dischi. Una regia che lavorava a tempo pieno, tutti i giorni.

E come ha fatto ad arrivare ad Agra?
Volevo una regia analogica «di quelle vere». Era un sogno, e sembrava un sogno impossibile, in particolare a causa dei prezzi. Poi un giorno, a New York, ne ho trovata una a un costo ragionevole.

Potenza di Internet?
Esatto. Un prestito in banca e via. È arrivata in perfetta forma. Ovviamente ha bisogno di una regolare manutenzione. Io ho una persona che se ne occupa.

Sono macchine delicate?
No, lei (molto tenero il modo con cui Lara si rapporta alla sua consolle, ndr) non è molto delicata, meno di quelle digitali. Inoltre è costruita in modo semplice, quindi anche se hai problemi, è facile metterla a posto. La sua tecnologia, diciamo, è molto «trasparente».

Lo studio Lemura di fatto è nato nel 2007. Lei da quando lo aveva in mente?
Da quando ero bambina e pensavo di diventare una rockstar. Sono cresciuta a pane e Kiss. Vedevo alla TV tutti quei musicisti negli studi in America registrare con queste regie piene di luci. Mi hanno sempre affascinata. All’inizio volevo fare gli esami al Conservatorio da privatista, studiare chitarra classica. Poi mi sono detta: «No, io voglio fare il tecnico del suono. Voglio avere uno studio di registrazione». Sono riuscita a convincere i miei genitori e siamo partiti per Londra, per cercare una scuola. All’epoca ce n’erano due o tre. Ho scelto quella che più mi ispirava. Era una piccola scuola privata con pochissimi allievi. Era il 1991… Ho vissuto lì per due anni.

Che musica girava, allora, cosa ascoltava?
Mi ricordo uno dei primi pezzi dei Nirvana, Smells Like Teen Spirit. Qui però devo dire una cosa che forse sembrerà strana: a me non interessa ascoltare una canzone dal punto di vista della musica, il mio cervello va sempre ad ascoltare i suoni. Mi piace scomporre i suoni e immaginarmi gli strumenti lì, nello spazio. Quando ascoltavo i pezzi, già allora, cercavo di capire, ad esempio, come era messo il microfono. Era lontano? Era vicino? Che tipo di microfono era? Che tipo di riverbero c’era? Nella mia professione non ti dirò se la canzone è bella ma ti spiegherò i suoni.

Quindi un tecnico del suono non si concentra sul contenuto di una canzone?
Ascoltiamo anche il contenuto, ma soprattutto ci concentriamo sulla forma. Devi sentire quali emozioni ti trasmette la musica che stai registrando, è quello che poi ti dice come muoverti. È il lato artistico del nostro lavoro. Per assurdo, la stessa band registrata da me o da qualcun altro potrebbe avere un suono totalmente diverso. Quando ascolto qualcosa che poi devo andare a registrare, mi immagino sempre di vedere gli strumenti nello spazio, di pensare dove li vorrei: me li immagino rotondi, più lontani, più fini, più larghi. È una cosa che sento a livello di pancia. Da lì decido quali microfoni usare, come metterli...

Come funziona la condivisione con l’artista?
La cosa che chiedo sempre quando i musicisti vengono a registrare da me, è di farmi avere dei dischi di riferimento, in modo da capire meglio i suoni che piacciono loro. Poi se il musicista è d’accordo ci metto del mio. Se invece è contrario – come è capitato – gli dico «Ok, se vuoi facciamo così, ma a me sinceramente non piace». Una volta ho chiesto che il mio nome non risultasse sul disco. Insomma, se un musicista vuole lavorare con me deve essere in chiaro sul mio modo di procedere e i miei gusti. Altrimenti non sono la persona giusta.

Qual è la direzione in cui vorrebbe portare la musica che registra?
Riprodurre il suono degli strumenti così come è, registrarli nel modo più naturale possibile e al tempo stesso renderli più belli, più patinati. Come quando hai una rivista con una copertina che brilla. Mi interessa rendere la musica più brillante, più profonda e più ampia… Gigante: dev’essere gigante. Ma deve essere anche naturale.

Non sarà sempre facile…
A volte funziona, a volte no. Dipende anche dal tocco del musicista. Dipende certamente dallo strumento di per sé, ma il lavoro più importante è come e dove si posizionano i microfoni. Certo, poi è fondamentale come mixi il materiale, ma io cerco sempre di prendere il suono nel modo migliore.

Parliamo della sua carriera radiofonica: nel lavoro alla RSI ha avuto modo di conoscere grandi professionisti.
Ho lavorato con Manfred Eicher, il boss dell’ECM. Ho fatto sette o otto dischi con lui. Era il mio sogno. È diventato realtà. Da lui ho imparato tantissimo. Lui sa esattamente il suono che vuole. Mette le mani sul mixer, lavora con te: è… non lo so… una forza della natura.

Negli anni ho conosciuto un sacco di musicisti. Molti si sono ricordati di me. Alcuni sono venuti qui al Lemura Studio. Per questo ho pensato di ingrandirlo: ne stiamo costruendo una nuova ala, in cui sarà ospitato un pianoforte Steinway. È un impegno finanziario non da poco. Ma succedono cose inattese. Durante il Covid mi ha contattata un pianista di Boston dicendo: «Ho sentito un disco di cui mi piaceva molto il suono e ho letto che l’hai registrato tu. Stavo cercando qualcuno per il mio nuovo album: vorresti iniziare il disco con me?». Sono belle soddisfazioni. Oggi è relativamente facile mettere su uno studio di registrazione. Ma l’esperienza vale molto più della tecnologia. La tecnologia è al tuo servizio, ma tu devi sapere come usarla per ottenere il suono che hai in testa.