L’era del «flower power» finì con 6 colpi di pistola la sera dell’8 dicembre 1980, quando a New York, davanti a casa sua, al Dakota Building, John Lennon venne colpito alla schiena dai proiettili esplosi da uno squilibrato. Moriva quel giorno di quarant’anni fa «un figlio di Liverpool che aveva cercato peace and love nelle diverse sfere della vita», come venne ricordato con solennità in una cerimonia nella cattedrale della città inglese durante il Festival della Pace che si tenne in quel periodo.
Dopo essere stato uno dei pilastri della musica dei Beatles, John Lennon aveva lasciato che la band, alla fine degli anni 60, esplodesse come un fuoco d’artificio nel firmamento del successo e mentre il gruppo rimaneva al centro dell’immensa popolarità, lui, conscio della propria fama, aveva deciso di prendersi il palcoscenico mondiale per dare sfogo alla propria creatività senza compromessi «beatlesiani», da solo con Yoko Ono, la sua musa, il suo nuovo amore, la sua complice più temeraria, e si trasferì a New York.
È soprattutto questo periodo che racconta Paul Du Noyer nel libro Le storie dietro le canzoni (Mondadori Electa) dove nella premessa si dichiara: «c’è un’unica storia in realtà dietro alle canzoni di John Lennon: la storia della sua vita.» In una intervista a «Playboy» nel 1980 Lennon aveva rivelato: «Mi piace scrivere di me, perché mi conosco. Non so niente di segretarie, postini e vigili urbani.» Il libro raccoglie i testi originali delle canzoni di Lennon, soprattutto quelle della sua produzione solista dal 1970 in poi, che scandirono le sue esperienze, le sue fughe e i suoi sogni degli ultimi dieci anni e in cui riuscì, come racconta l’autore, «a trasformare la complessità della sua vita in poesia».
Paul Du Noyer imbastisce così una trama preziosa fatta di fotografie, di notizie di cronaca, di musica, di elementi biografici, di interviste degli ex-Beatles e di John Lennon che, in quegli ultimi giorni del 1980, lavorava alla promozione dell’album Double fantasy appena uscito. Anche per chi gli è stato contemporaneo questo libro è una sorpresa perché vi riscopre John Lennon, l’uomo e la pop-star, capace d’impegnarsi in battaglie ideologiche, di trasformarsi in un guru, un leader, un predicatore; di sfidare le convenzioni inventando clamorose performance pubbliche insieme a Yoko Ono, ma che nel giro di poco poteva cambiare «causa», o seppellirsi altrettanto velocemente nel silenzio con candida volubilità, perché in fondo, a parte le mille sfaccettature del personaggio, John Lennon era lo specchio di un’epoca ricca di stimoli, d’idee, di mode, ma anche di speranze in un futuro migliore, e c’era la sensazione che tutto fosse possibile, anche cambiare il mondo.
Give Peace a Chance fu il primo singolo pubblicato da John Lennon al di fuori dei Beatles, ed era una canzone nata il primo giugno del 1969, nei sette giorni di bed-in per la pace, la performance che ebbe luogo nella suite del Queen Elisabeth Hotel di Montreal in cui John e Yoko a letto, in pigiama bianco, ricevevano giornalisti, amici e curiosi con la frase «date una possibilità alla pace». Tra gli estemporanei ospiti c’era Timothy Leary, il guru dell’LSD, la cantante Petula Clark, un rabbino locale, il comico Tommy Smothers e vari membri del tempio Radha Krishna di Montreal, e tutti cantarono insieme a John la composizione nata in quelle ore. Give Peace a Chance, quel mantra «insistente e ubriacante» scandì da quel momento in poi, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam e venne intonato da una folla immensa il 15 novembre a Washington davanti alla Casa Bianca occupata da Nixon.
Alla fine del 1969 un programma televisivo britannico elesse John Lennon «Uomo del decennio» assieme a John F. Kennedy e al presidente nord vietnamita Ho Chi Minh. Give Peace a Chance fu anche la preghiera dei fan di Lennon quel fatidico 8 dicembre 1980 davanti al Dakota Building e anni dopo la canzone più ricordata, insieme a Imagine, davanti al Muro di Lennon a Praga, e, in tempi molto recenti, davanti a quello a lui dedicato a Hong Kong.
Il giornalista musicale Paul Du Noyer ricorda come la cifra più personale e interiore di Lennon si avvertisse anche in canzoni cantate dai Beatles come Help, Tomorrow Never Knows, Norwegian Woods, o Strawberry Fields Forever, piene di metafore, di atmosfere misteriose e di inquietudine. Ciò diventerà evidente in seguito, ad esempio in Mother, canzone che Lennon definì «ispirata al 99% ai suoi genitori» che si separarono quando lui aveva cinque anni, dopodiché sua madre lo affidò alle cure di zia Mimì con la quale crebbe; o Cold Turkey in cui descrive gli effetti fisici di uno dei tentativi di disintossicarsi dall’eroina, considerata all’epoca una sorta di «vizio artistico», al quale sfuggì molto dopo; oppure Watching the Wheels in cui racconta i suoi cinque anni lontano dalle scene, dopo la nascita del figlio Sean, mentre i fan ed i giornali orfani della loro rockstar titolavano: «Dove diavolo sei John Lennon?», e lui scriveva canzoni, incideva demo, viaggiava e semplicemente viveva, dopo anni di sovraesposizione mediatica, di difficoltà con le autorità americane, di temporanea crisi d’ispirazione e momenti di disamore con Yoko Ono, la donna della sua vita.
Il 27 maggio del 1979 sui quotidiani di Londra, New York e Tokyo i Lennon pubblicarono «Una lettera d’amore da John e Yoko» per i loro fan e Watching the Wheels ne fu quasi la versione musicale. L’anno dopo, John Lennon, quarant’anni appena compiuti, venne ucciso mentre rincasava. Solo alcune ore prima aveva autografato il nuovo album al suo assassino.
L’eredità di Lennon
Quarant’anni or sono veniva assassinato uno dei simboli musicali del secondo Novecento
/ 30.11.2020
di Blanche Greco
di Blanche Greco