Dove e quando
Leonardo da Vinci. A cura di Vincent Delieuvin e Louis Frank. Musée du Louvre, Parigi. Fino al 24 febbraio 2020. Catalogo Musée du Louvre / Hazan, euro 35. Tutti i giorni 9.00-18.00. Chiuso martedì. www.louvre.fr

Leonardo da Vinci, Ritratto di dama, chiamato erroneamente La Belle Ferronnière, 1490-1497 ca., olio su tavola, Parigi, Museo del Louvre (© RMN-Grand Palais [musée du Louvre] / Michel Urtado)

Leonardo da Vinci, San Girolamo penitente, 1480-1490 ca., olio su tavola. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana (Photo © Governatorate of the Vatican City State - Vatican Museums. All rights reserved)


Leonardo al Louvre

La mostra del secolo per il cinquecentenario
/ 18.11.2019
di Gianluigi Bellei

Èureka! Finalmente è arrivato il momento della grande mostra su Leonardo da Vinci per il cinquecentenario della morte. Ovviamente al Louvre di Parigi. Dieci anni di preparazione, 140 opere fra pitture, disegni, manoscritti, sculture, oggetti d’arte, provenienti dalle maggiori istituzioni europee e americane come il British Museum e la National Gallery di Londra, il Metropolitan Museum di New York, la Pinacoteca Vaticana… Dieci anni di preparazione durante i quali sono stati restaurati tre dei cinque dipinti della collezione del museo: la Sant’Anna, la Belle Ferronière e il San Giovanni Battista. Sono esposte 11 opere di Leonardo. Un bel successo visto che l’intero corpo pittorico dell’artista conta meno di 20 lavori attribuiti unanimemente dagli specialisti.

Uno dei fili conduttori dell’esposizione è il concetto di componimento inculto. Spieghiamolo, perché è importante. È un aspetto che rileva l’estrema libertà dell’artista e che, in parte, coincide con la sua volontà di sperimentare. Lo si scopre nel metodo di lavoro. Ne troviamo cenno nel suo Trattato della pittura, compilato dall’allievo Francesco Melzi che, verso il 1540, assembla i testi degli scritti relativi alla pittura. Al paragrafo 185, della prima versione a stampa del 1651, intitolato Precetto del comporre le istorie Leonardo scrive: «Adunque, pittore, componi grossamente le membra delle tue figure, e attendi prima ai movimenti appropriati agli accidenti mentali degli animali componitori dell’istoria, che alla bellezza e bontà delle loro membra. Perché tu hai a intendere che, se tal componimento inculto ti riuscirà appropriato alla sua intenzione, tanto maggiormente satisfarà, essendo poi ornato della perfezione appropriata a tutte le sue parti». In pratica sostiene che sono l’assenza di compiutezza e l’indeterminato le basi per la perfezione e la congruità.

Le riflettografie a raggi infrarossi realizzate sui dipinti – che permettono di penetrare lo strato pittorico e di visualizzare un eventuale disegno sottostante – lo confermano. Poi con pazienza l’artista arrivava alla perfezione con tocchi di pennello sempre più sfumati e velature infinite. Nel giugno del 2009 il Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France rileva con questa tecnica che nel San Giovanni Battista il braccio destro «è stato oggetto di numerose perplessità» e per l’iride, la bocca, il gomito e le dita non sempre il disegno è «stato eseguito con precisione».

Leonardo pittura essenzialmente su tavola. All’inizio preparata con una base di gesso lisciato con il palmo della mano. Poi, verso il 1485-1490, con un pigmento a base di bianco di piombo. Su questa base trasferisce dal cartone alla tavola il disegno – dopo aver bucherellato i contorni della figura – con la polvere di grafite. Sul bianco di piombo, la biacca, colora con il verdaccio, il giallorino, che a volte usa come imprimitura, il cinabro e soprattutto l’asfalto. I pigmenti sono legati con olio di noce o di lino. Il famoso sfumato è ottenuto per addizione sui toni medi con colori trasparenti che permettono di aggiustare la tonalità e la dissolvenza del colore. Per Vasari lo sfumato di Leonardo parte dall’ombra, che ha una funzione determinante, per arrivare alla luce. In realtà come specifica Louis Frank in catalogo, ha due direzioni: una verso la luce e l’altra verso l’oscurità.

Sempre per il Vasari Leonardo rappresenta la maniera moderna. Fissa il 1250 come anno di rottura della Maniera greca. La Seconda età è caratterizzata dalla regola, dall’ordine, dalla misura, dal disegno e dalla bella maniera. Leonardo ha dato «principio alla Terza maniera che noi vogliamo chiamare la moderna, oltre la gagliardezza et bravezza del disegno, et oltre il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura così apunto come elle sono, con buona regola, miglior ordine, retta misura, disegno perfetto et grazia divina, abbondantissimo di copie et profondissimo di arte, dette veramente alla sue figure il moto ed il fiato». Soprattutto è determinante la licenza, all’interno della regola. Poi redige una gerarchia degli artisti che va da buono a più che eccellente. Infine ci sono gli artisti divini i quali hanno la facoltà di provocare lo stupore, la meraviglia, la terribilità, il tremore e il timore. Sono solo cinque: Brunelleschi, Donatello, Raffaello, Michelangelo e, appunto, Leonardo.

La mostra parigina è strepitosa, mai viste tante opere di Leonardo tutte assieme. Ma non solo. Si può finalmente fare un confronto con altri artisti e per Leonardo, con tutte le presunte nuove attribuzioni, è senz’altro un bene. Vedere gli studi a tempera dei drappeggi dei primi anni assieme a quelli dell’atelier del maestro Andrea del Verrocchio stigmatizza subito una differenza, tradotta per il Vinci in maggiore profondità di campo, di contrasto, di luce e di chiaroscuro. Ugualmente si possono paragonare i suoi dipinti certi con quelli dei suoi discepoli come Giovanni Antonio Boltraffio, Marco d’Oggiono, Giovan Francesco Melzi e Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì. Opere, quest’ultime, di notevole qualità ma che rivelano immediatamente un’altra mano.

Quasi tutti i dipinti vengono affiancati alla relativa riflettografia che ne evidenzia i pentimenti e il metodo di lavorazione.

Il percorso espositivo inizia con il grande bronzo di Andrea del Verrocchio Cristo e San Tommaso del 1467-1483, della chiesa di Orsanmichele di Firenze, e termina con il disegno di una giovane donna del 1517-1518, proveniente dal Castello di Windsor, nel quale la sorridente bellezza indica con la mano un punto situato fuori dal campo dell’immagine. Perché c’è sempre qualcosa che ci aspetta oltre.

Di capitale importanza il catalogo che funge da spartiacque fra tutte le ricerche e riferimento imprescindibile per ogni attribuzione. Catalogo con, ovviamente, l’indice dei nomi. Oltre a questo è consigliato il volume scientifico di Louis Frank e Stefania Tullio Cataldo, Giorgio Vasari. Vie de Léonard de Vinci peintre et sculpteur florentin, pubblicato per l’occasione, che sarà un punto fermo per i commenti sulle due edizioni delle Vite, quella torrentina del 1550 e quella giuntina del 1568, oltreché per diverse singole opere di Leonardo e altri scritti.