Nelle varie avanguardie musicali, ma anche in quelle teatrali, cinematografiche o letterarie del Novecento si tendeva a escludere una narrazione tradizionale, avvicinandosi all’astrazione. Nella musica teatrale ci si proponeva di eludere il canto melodico spiegato o la regolare propulsione ritmica. Nel frattempo l’immagine ha acquisito per l’arte di oggi un’importanza sempre maggiore.
Il compositore ungherese Peter Eötvös si inserisce in questo mondo riprendendo alcuni aspetti della tradizione, fondendoli con le novità sperimentate dalla storia. Dopo aver composto diverse opere, a partire dalla prima del 1990 dedicata alle Tre sorelle di Anton Cechov, Eötvös arriva a comporre quest’ultima, Sleepless, opera-ballade, commissionata e co-prodotta dalla Staatsoper di Berlino Unter der Linden e dal Grand Théâtre di Ginevra.
In Sleepless la narrazione si avvale di un’alternanza tra il melodiare e un semi-recitato basati su un testo in prosa del norvegese Jon Fosse, ridotto a libretto da Mari Mezei, moglie del compositore. Dall’alto della sua lunga esperienza Eötvös porta colori e vivacità nel linguaggio piano e comune di un testo dai toni sommessi. Il racconto si snoda su una tematica che sembra non tener conto della svolta permissiva della nostra società, e il compositore non tenta di storicizzarla, sebbene affermi che vuole agire nel presente.
Alida, soprano, e Asle, tenore, adolescenti, non ancora sposati, per essere in attesa di un figlio non trovano nessuna sistemazione. Rifiutati da tutti, Asle risolve le varie situazioni, come in una sorta di fatalità, con l’omicidio della madre di Alida per il quale verrà poi impiccato. Ignara della sorte toccata al compagno Alida partorisce da sola. In un secondo momento incontra Aslik che la sposa e le racconta la storia degli omicidi e dell’impiccagione. La donna cade in depressione e si uccide tra le onde del mare.
Se ad Asle viene affidato il classico compito maschile di agire, Alida prende su di sé tutta la tristezza e la disperazione degli avvenimenti, sfociando in un lungo ed efficace soliloquio, un vero lamento melodico, coadiuvato dal commento del coro di sei soprani, come nei cori dell’antica Grecia, che si identificano quasi con l’anima stessa della sventurata.
La messa in scena di Koriel Mondruczo e la scenografia di Monika Pormalo sembrano cogliere al meglio l’intero racconto, occupando il palco per tutta la durata dell’opera, con un enorme pesce, mosso a ogni scena da una piattaforma rotonda, così da mostrare, ora il suo aspetto esterno di squame luccicanti, ora quello interno dello scheletro spigoloso.
Tra i bravi cantanti, sei marinai, sei voci femminili e le voci solistiche, nei panni di Alida spiccava la giovane soprano norvegese di origine nicaraguense, Victoria Randem per la sua voce sicura, morbida e fluente.