Piazza degli Eroi (Heldenplatz) è un dramma in tre scene rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna (regia di Claus Peymann) il 4 novembre 1988, pochi mesi prima della morte dell’autore, avvenuta il 12 febbraio 1989. La prima e la terza scena sono ambientate in un appartamento che guarda su piazza degli Eroi: quella in cui, il 15 marzo 1938, davanti a una folla acclamante di oltre 100’000 persone, Adolf Hitler proclamò, cinque giorni dopo il plebiscito, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Siamo nel marzo del 1988. L’appartamento è stato venduto ed è in via di sgombero: il suo proprietario, il professore universitario Josef Schuster, ebreo, si è suicidato gettandosi da una finestra nella piazza sottostante. L’azione si svolge una settimana dopo la sua morte.
La moglie di Josef, Hedwig, si trasferirà provvisoriamente nella casa di campagna di Neuhaus. Andranno con lei la signora Zittel (la governante), la domestica Herta, il cognato Robert (ex docente universitario), e per qualche tempo la figlia Olga. L’altra figlia, Anna, si recherà col fratello Lukas a Oxford, dove Josef, dopo l’Anschluss, era fuggito insieme con la moglie e aveva insegnato per vent’anni. Si occuperanno entrambi della vendita di una casa acquistata di recente, dopo che Josef aveva deciso di lasciare nuovamente Vienna, che gli era diventata insopportabile.
Alla fine della terza scena, però, accade un fatto imprevisto. Dopo la cerimonia funebre, durante la colazione che la signora Zittel ha preparato per i famigliari e tre conoscenti, Hedwig sente ancora una volta le urla crescenti di piazza degli Eroi. L’angoscia è tale che all’improvviso cade in avanti, col viso nel piatto della zuppa (un tocco tipico del tragico/grottesco bernhardiano), presumibilmente stroncata da un infarto. La seconda scena del dramma (in cui Olga, Anna e Robert discorrono fra l’altro della casa e del giardino di Neuhaus, e in cui si colgono echi del cechoviano Giardino dei ciliegi) ha luogo dopo il funerale, nel Volksgarten – dunque all’aperto: cosa molto rara nel teatro di Bernhard.
Acutamente, il regista Roberto Andò (che firma la prima messinscena italiana di Piazza degli Eroi) ha collocato gli elementi scenografici che sobriamente fingono il Volksgarten all’interno dell’appartamento di piazza degli Eroi: come se il parco pubblico ne fosse una propaggine che richiama anche la casa e il giardino di Neuhaus. Ha introdotto inoltre la figura (inesistente nel testo) di un pianista che si muove lento e silenzioso e ogni tanto siede al pianoforte per eseguire brevi composizioni. Un’aggiunta arbitraria ma non del tutto incongrua, considerando il significato che ha la musica in questo testo e in tutta l’opera di Bernhard. Ma soprattutto, un’aggiunta funzionale, specie nella prima scena, dove serve a intervallare il dialogo tra la governante e la domestica: dialogo che potrebbe risultare stancante per lo spettatore.
I personaggi di maggior rilievo sono quattro: Josef, Robert, Hedwig, la signora Zittel. Josef è un personaggio assente e continuamente evocato, soprattutto per bocca della Zittel e del fratello Robert, che ne descrivono i comportamenti e ne riferiscono le parole. Attraverso le affermazioni di Josef e Robert, Bernhard accusa duramente Vienna e l’Austria intera di essere più antisemite e filonaziste che nel 1938. Da implacabile «maestro dell’esagerazione», come lui stesso si è definito, non argomenta e non documenta: assevera e insolentisce. I suoi bersagli sono i rappresentanti, definiti incapaci e corrotti, dell’establishment austriaco: politici, giornalisti, scrittori, industriali, uomini di chiesa: tutti accomunati nella colpa e nel disprezzo. Da ciò l’enorme scalpore suscitato dalla rappresentazione viennese del 1988.
Alla difficoltà, per gli attori, di dare corpo e voce alla singolarità di personaggi psicologicamente e intellettualmente contradditori, si aggiunge quella costituita dalla scrittura di Bernhard: una scrittura segmentata, priva di segni di interpunzione, costellata di ripetizioni ossessive. Tutti gli interpreti dello spettacolo sono lodevoli. Ma chi svetta è Renato Carpentieri, nel ruolo di Schuster, il quale pensa che tutto il mondo è puro cinismo, che la vita è dolore, che la protesta individuale è vana, e tuttavia non intende suicidarsi. È lui il solo che sappia conferire alla peculiare artificialità della scrittura di Bernhard una personale, affascinante naturalezza.