Enrico ParolaPer anni Mstislav Rostropovich, il più grande violoncellista del Novecento (e non solo), aveva chiesto a Dimitri Shostakovich di scrivergli un concerto per violoncello. Un giorno lesse sul giornale locale che il compositore ne aveva appena concluso uno; forse ancor più inferocito che deluso perché l’amico Dimitri non gli aveva detto nulla a riguardo, pensando che lo avesse dedicato a un altro musicista e quindi sentendosi tradito, si precipitò bellicoso a casa di Shostakovich. Il quale gli confessò di non avergli detto nulla per timore che l’opera non fosse all’altezza del suo straordinario talento; Rostropovich gli chiese di vedere la partitura e di suonarla, lui al violoncello e il compositore a suonare la parte dell’orchestra al pianoforte; ne fu entusiasta, pace fu fatta a brindisi di vodka protratti fin quasi al mattino seguente. Inutile dire che Shostakovich dedicò fin da subito all’amico il suo secondo concerto per violoncello.
È bello talvolta conoscere il «dietro le quinte» delle vite di certi grandi geni, l’aneddotica umana da cui originano i loro capolavori. A suo modo è quello che fa Gautier Capuçon, talentuoso francese di Chambéry che il 5 dicembre sarà solista nel secondo Concerto di Shostakovich, l’Op. 126 in sol maggiore, con l’Orchestra della Svizzera Italiana. Capuçon è attivissimo sui social: ogni giorno pubblica su Instagram foto che lo ritraggono anche in situazioni sorprendenti (ad esempio mentre cavalca a Vienna) e usa Facebook come una sorta di diario di bordo. «Mi piace raccontare alla gente quello che faccio, e se possibile farlo anche vedere; il ritrovarsi in aeroporto con un volo in ritardo o addirittura cancellato fa vedere che la vita del concertista non è fatta solo delle luci del palcoscenico e del suonare davanti al pubblico, ma di spostamenti, inconvenienti, tante piccole o meno piccole incombenze quotidiane. È fatta anche di routine e di lavoro: documento le prove, racconto che cosa sto studiando e le idee che mi sono venute un certo pomeriggio; quando capita illustro un momento di libertà e di svago che sono riuscito a concedermi, come appunto l’aver provato per la prima volta l’ebbrezza di cavalcare mentre ero a Vienna per dei concerti».
Forse non questo lato privato e personale, ma sicuramente la personalità artistica di Capuçon è ben nota al pubblico del Lac: presenza costante del «Progetto Martha Argerich», in questa stagione è artista in residenza di Lugano Musica. Il ritrovarlo anche nel cartellone della Osi non è però un’inutile replica, tutt’altro: tale è il talento del violoncellista transalpino che l’avere più occasioni di ascoltarlo non può non essere accolto con favore e piacere. «Anche per me è importantissima l’empatia che si crea con un certo pubblico. Mentre il pianista è sempre di lato e il violinista può girarsi e ruotare, noi violoncellisti siamo sempre esattamente frontali, guardiamo in faccia la gente dalla prima all’ultima nota. E se capita come quella volta a Boston… Era il mio debutto lì, stavo suonando con Dutoit il concerto di Dutilleux e un signore in prima fila guardava l’orologio ogni cinque secondi. All’inizio mi disturbava e basta, poi ho iniziato a pensare che stessi suonando in un modo terribilmente noioso…».
A Lugano l’accoglienza è sempre stata calorosa, l’ultima volta a ottobre quando ha interpretato il concerto di Schumann con Nelsons e la Gewand-haus. Stavolta invece, accompagnato da Markus Poschner che dirigerà l’Osi anche nella visionaria, talvolta addirittura allucinata Sinfonia Fantastica dove Berlioz si immagina i deliri di un artista che sogna un sabba di streghe, c’è Shostakovich: «I due concerti sono splendidi e molto diversi tra loro. Il primo è più celebre ed eseguito, credo perché più eroico, con un finale battagliero che invita all’applauso; il secondo è più d’atmosfera, è difficilissimo ma la tecnica più che in esibizioni pirotecniche viene richiesta, e in modo massiccio, per trascolorare continuamente tra infinite sfumature».