Le parole di Johnny

«La mia canzone continuerà a essere cantata»: la nuova raccolta dedicata agli scritti inediti del compianto Johnny Cash si rivela un’opera di fascino e grazia semplicemente sorprendenti
/ 30.04.2018
di Benedicta Froelich

Nonostante siano passati esattamente quindici anni dalla sua scomparsa (avvenuta nel 2003, all’età di settantun anni), non v’è dubbio che, a tutt’oggi, il vuoto lasciato dal celeberrimo Johnny Cash sulla scena musicale angloamericana resti incolmabile – e non soltanto per quanto riguarda il mondo francamente un po’ chiuso e stagnante del country statunitense, genere dichiarato di appartenenza di un artista che in realtà, nell’arco della sua carriera, ha ampiamente trasceso qualsiasi classificazione stilistica, dando vita a un repertorio dall’influenza a dir poco universale.

Questo nuovissimo album dedicato a Cash, dall’eloquente titolo di Forever Words, costituisce in realtà un vero e proprio unicum nella discografia dell’artista: ben lungi dal rappresentare il solito tributo postumo a cui il mercato ci ha abituati, si dimostra una sorpresa a dir poco esaltante per qualsiasi appassionato di musica popolare a stelle e strisce.

Seguendo le stesse linee guida degli esperimenti già intrapresi negli ultimi anni con gli scritti di un precursore assoluto del folk statunitense come Woody Guthrie, John Carter Cash (figlio di Johnny e dell’amatissima moglie June, rampolla della Carter Family), ha raccolto in un volume di recente pubblicazione (l’omonimo Forever Words) una serie di poesie, lettere e liriche inedite firmate dal padre nell’arco di più decenni; materiale prezioso, di cui questo disco costituisce il naturale supplemento audio, in cui grandi nomi della scena pop e rock si cimentano nel musicare e interpretare a modo proprio un’ampia selezione di tali componimenti. Il tutto con risultati sorprendenti, poiché, dalla prima all’ultima traccia, l’album è una vera e propria gioia per le orecchie, come per l’anima; malgrado i background musicali siano tra i più disparati, la scelta di non porre alcun vincolo generazionale al criterio di selezione degli artisti presenti si rivela infatti vincente, così come la curiosa commistione di stili e sonorità che ne deriva.

Ecco quindi materializzarsi veri e propri, piccoli capolavori: su tutti, la struggente ballata The Walking Wounded, a firma di Rosanne Cash, figlia di primo letto del Maestro, che qui interpreta con pregevole sensibilità un pezzo più che mai attuale sulla silenziosa disperazione dei moderni diseredati di ogni dove («abbiamo perduto le nostre case e i nostri sogni / i nostri obiettivi si sono trasformati in piani»); oppure, su tutt’altro registro narrativo, il soave Body on Body, intonato dalla voce giovane ma ricca di sfumature della rocker Jewel, magistrale nel tratteggiare con trasporto e vigore emotivo la profonda connessione tra amore spirituale e fisico. Per non parlare del meraviglioso June’s Sundown, a opera di Carlene Carter, figliastra di Johnny ed erede della Carter Family, qui alle prese con le sincere affermazioni di gratitudine di Cash per ogni nuovo giorno vissuto su questa terra.

Naturalmente, all’interno della tracklist non mancano gli esempi di country puro, come il romantico To June This Morning – delicato scampolo di un nuovo omaggio di Johnny alla compagna di una vita – o la travolgente cavalcata biblica He Bore It All, che riprende il tema, a Cash particolarmente caro, della passione di Cristo. In tal senso, magistrale risulta anche il suggestivo sound folk di Chinky Pin Hill, mentre, sul versante più tradizionale e di stampo «roots», troviamo invece il gusto irresistibilmente old-fashioned di esercizi di stile quali Jellico Coal Man e The Captain’s Daughter; ed è più che toccante riscoprire il carisma del compianto Chris Cornell nell’ottimo You Never Knew My Mind.

Proseguendo nell’ascolto, stupiscono inoltre contaminazioni stilistiche ardite come quelle offerte da Ill Still Love You, in cui Elvis Costello si cimenta con atmosfere jazzate da crooner d’altri tempi, o Goin’, Goin’, Gone, a cavallo tra sound soul e R’n’B, che vede Robert Glasper indagare l’antica dipendenza da farmaci di Cash, da lui debellata dopo anni di lotta impietosa. Questa carrellata d’ampio respiro culmina poi in un finale dal gusto «otherworldly» come Spirit Rider, che mescola suggestioni di sapore western con la metafisica spiritualità folcloristica tipica di Cash, e nel quale Jamey Johnson si rivela ottimo discepolo di Johnny.

Del resto, a legare con un sottile filo rosso l’intera gamma stilistica offerta dalla tracklist basta il timbro inconfondibile dei testi di Cash, contraddistinti dalla lineare «perfezione della semplicità» tipica della tradizione orale americana, combinata al personale e acuto sguardo sulla realtà che da sempre contraddistingue l’artista; e certo è che, dopo l’ascolto di un disco come questo, le parole di Johnny stesso – tratte da uno scritto risalente a pochi giorni prima del decesso e immortalate nella prima traccia di Forever Words – suonano più che mai veritiere: «tu dici che sono destinato a perire / alla stregua dei fiori a me cari (...); ma gli alberi che ho piantato sono ancora giovani / e la mia canzone continuerà a essere cantata».