Le parole danno (anche) i numeri

La lingua batte - Quanti vocaboli conosciamo? Qual è la parola italiana più utilizzata in assoluto? Ricordando il lavoro di Tullio De Mauro
/ 13.06.2022
di Laila Meroni Petrantoni

Capita prima o poi a tutti di sprofondare nella pigrizia linguistica, in quel non aver voglia di far fatica e di tirare in ballo il repertorio dei sinonimi, accessibile ma scomodo come quella scatola riposta in cima all’armadio. Così ci limitiamo a una scelta minima di parole per comunicare con gli altri, senza chiedere di fare uno sforzo in più al nostro cervello, che peraltro ha già tanto da fare. Ma è il suo mestiere, e (se solo lo volessimo) nella maggior parte dei casi è in grado di andare a pescare dai cassetti «lessicali» la parola giusta per concretizzare un pensiero. Cosa contengono esattamente questi cassetti?

Fra i linguisti più amati in Italia figura Tullio De Mauro, scomparso nel 2017, che tanto si è dedicato a scovare parole, contare le volte in cui vengono usate, da chi e perché. Nel corso di interi decenni, De Mauro ha pazientemente radiografato l’italiano degli italiani, tanto che ancora oggi in base ai suoi studi lo citiamo per alcuni concetti entrati a far parte del bagaglio del settore. Nel 1980, come appendice del suo volume Guida all’uso delle parole, il grande linguista ha risposto a una curiosità che stuzzica molti: quante parole conosciamo? quante di queste usiamo regolarmente?

Ebbene, sono stati quantificati in 47’000 i vocaboli conosciuti e adoperati dai parlanti più rappresentativi e per questo presi come riferimento (chi ha un’istruzione medio-alta, indipendentemente dalla professione e dagli interessi personali). Sono le parole di uso comune, che pur se non utilizzate molto spesso, potenzialmente rendono il discorso più ricco e preciso. Le ricerche di De Mauro hanno pure individuato e soppesato quello che è il Vocabolario di base (VdB): contiene 6500-7000 parole, irrinunciabili in quanto destinate a comporre il 98% dei discorsi. A sua volta il lessico di base è suddiviso in tre categorie: Lessico fondamentale (formato da 2000 vocaboli circa che ci diventano familiari fin da piccoli e che usiamo spessissimo, come l’articolo il o il verbo vedere; costruisce il 90% del testo), Lessico di alto uso (presente nel 6% del discorso, con 2500 parole un po’ meno frequenti ma che conosciamo tutti bene, come cucinare o liquido) e Lessico di alta disponibilità (utilizzato nell’1-2%, ma tutti sono in grado di comprenderlo e farne uso: si cita come esempi pepe, oppure asino per «stupido»).

L’elenco delle parole del Lessico fondamentale di De Mauro, anche nel suo aggiornamento del 2016, a volte può stupire: per fare qualche esempio, in questa categoria è inserito candidato, o risorsa (mentre risparmio risulta solo fra i lemmi di alto uso) oppure verbale (per contro verbo risulta pure di alto uso). Inoltre, a sorpresa (ma non troppo) troviamo oggi web inserito nel lessico fondamentale, il che sta anche a indicare come gli elementi che compongono questi insiemi mutino nel tempo: tra la prima e la seconda versione del VdB, diverse centinaia di parole sono state espulse, a vantaggio di altre che fino a qualche decennio fa erano appannaggio di «pochi» parlanti.

Altri numeri suonano interessanti in questa nostra modesta carrellata. Può essere simpatico sapere che ben due terzi del VdB è composto da parole in uso fin dalle origini dell’italiano, utilizzate già da Dante, Petrarca e Boccaccio; e che più della metà del totale è da fare risalire al latino (per altre curiosità, si invita a leggere Una base di dati sul Vocabolario di Base della lingua italiana, di Thornton, Iacobini, Burani).

Sono, questi, solo numeri per gli amanti delle statistiche? Certamente no, perché il lavoro di Tullio De Mauro è stato utilissimo per rivedere e rendere più comprensibili testi di vario genere, nell’ambito della didattica, della divulgazione scientifica, della trasmissione di testi istituzionali. All’indimenticato linguista italiano – e al suo esercito di collaboratori – si deve anche l’elenco delle quaranta parole più frequenti in italiano: si passa da il al vertice della classifica, alla quarantesima posizione assegnata al vocabolo più amato dagli italofoni pigri: cosa.