«Permettimi di fare le presentazioni, Herr Schiele. Lei è nientemeno che Fräulein Neuziel. Promette di abbagliarti proprio come il sole. Ma tu non fissarne a lungo il centro». Così in un giorno di gennaio del 1911 Gustav Klimt presenta al giovane e promettente Egon Schiele la sua modella Wally Neuziel: «È una vera gemma non trovi?». Chioma rossa, occhi grandi, bocca generosa, figura elegante e muscolosa al contempo, Wally sarà la musa e la compagna di Egon Schiele, soprattutto gli starà accanto nel momento più difficile quando nel 1912 verrà arrestato e detenuto per 24 giorni nel carcere circoscrizionale di St. Pölten. Dall’accusa di aver rapito la minorenne Tatjana von Mossig verrà scagionato ma sarà accusato di diffusione di disegni osceni. Come se avesse già previsto tutto, nel 1909 in una lettera a suo zio Leopold Czihaczek (Egon Schiele. Ritratto d’artista, SE, 1999), l’artista scrive: «L’indignazione o la rabbia per le offese che bisogna inghiottire rappresentano un grande dolore per chi abbia un temperamento impetuoso, nervi delicati e profondità di sentimenti e di pensiero, un dolore che gli toglie il sonno, lo fa dimagrire, lo priva di tutti gli appetiti e infine lo precipita nella malinconia. La paura allenta le forze del corpo e dello spirito»
Nato nel 1890, figlio di un capo stazione, iscritto prima alla Kunstgewerbeschule e poi all’Accademia di belle arti che lascerà nel 1909 per fondare il collettivo Neukunstgruppe, la sua arte troppo spregiudicata e all’avanguardia per essere compresa dalla società borghese austriaca di Fin de siècle verrà etichettata come pornografica. Tornano alla mente le parole dell’amico Kokoschka alle quali si è ispirato Lewis Croft per la sua biografia Il pornografo di Vienna. Galeotta fu una mostra che il giornalista inglese visitò allo Schiele Museum di Tulln rimanendone folgorato.
Del resto, le opere di uno dei maggiori artisti figurativi del primo Novecento, massimo esponente dell’espressionismo viennese della prima ora, difficilmente lasciano indifferenti. Pensiamo ad alcune tra le più famose e iconiche iniziando da quella che abbiamo scelto di mettere in pagina: Gerti davanti al drappeggio color ocra (1910), Wally (1912), Donna seduta con gamba sinistra piegata (1917) o Ritratto di Edith (1915). Chi erano queste donne? A chi appartenevano quelle gambe, quei ventri, quegli occhi, quei capelli? Chi erano le muse di Egon Schiele, quali ambizioni nutrivano, quali erano i loro talenti e come hanno vissuto il rapporto con l’artista? Sono le domande alle quali la giornalista inglese Sophie Haydock risponde nel suo romanzo Le fiamme. Anche lei è rimasta folgorata da una mostra, nel suo caso quella del 2014 alla Courthald Gallery di Londra: The Radical Nude. «Un evento che ha cambiato la mia vita, sono entrata in quel museo pensando che avrei voluto scrivere un romanzo, sono uscita con la testa che mi girava, il nome di Edith Harms sulle labbra». Col tempo è diventata la storia delle quattro muse di Schiele (la sorella Gertrude, la modella Wally Neuziel, la moglie Edith Harms e la cognata Adele Harms) dedicata a una donna: Alo Schofield, giornalista e amica dell’autrice scomparsa a soli 34 anni. Fu lei ad invitarla alla mostra: «Grazie di essere stata la scintilla che ha fatto sprigionare le fiamme».
Ma forse il destino aveva già deciso visto che ad accompagnarla nei suoi studi all’Università di Leeds c’era Adele Harms ritratta da Schiele in Donna seduta con gamba piegata (1917): «Gli occhi ardenti sono pieni di smania, parlano di desiderio, di disastro. Non ho potuto fare a meno di chiedermi se fosse innamorata di Schiele» dice l’autrice. Prima di Haydock, altri si sono occupati delle donne di Schiele, ad esempio Romina Casagrande che nel suo lavoro Le ragazze con le calze grigie (Arkadia, 2018) si è concentrata su Wally e Edith. Per entrambe le vere audaci sono loro, le sue muse, che in una società patriarcale e borghese di inizio Novecento, sfiancata dalla guerra, osano e portano avanti le loro scelte fino in fondo. Soprattutto, restano vicine a Schiele negli anni turbolenti, quando la sua arte ha poca fortuna e gli mancano i soldi per acquistare le tele e i colori.
Sophie Haydock è riuscita a creare una storia avvincente in cui – tenendo saldi i fatti storici emersi dalle sue ricerche – con ampia licenza poetica descrive e immagina le vite e i rapporti delle quattro donne. La gelosia di Gerti per Wally, la delusione di Wally quando Schiele la lascia per sposare la borghese Edith e ripulire il suo nome e, infine, la gelosia tra le sorelle Edith e Adele che l’autrice immagina innamorate entrambe dell’artista. Tutte poseranno per lui ma la Haydock con la sua scrittura «sicura, incalzante, luminosa» – come l’ha definita il «Sunday Times» – ci mostra il loro lato profondo, ne mette a nudo le personalità complesse, i sentimenti e le ambizioni.
Il primo incontro di Edith e Adele Harms con Schiele, di sera, nel bagliore dei lampioni avviene nella Vienna del 1912: «Lo sguardo abbraccia le sopracciglia folte dell’uomo, l’attaccatura dei capelli, il riccio elaborato della chioma folta e arruffata. È alto, affascinante, fa venire voglia di toccarlo... L’uomo solleva lo sguardo, e alla vista delle due ragazze, le sopracciglia si inarcano. Gli occhi di Adele incontrano i suoi per un momento». Alla fine del romanzo ritroviamo Adele ad una mostra su Schiele nella Vienna del 1968. Anziana, si rispecchia nei dipinti. D’un tratto è come se le muse si animassero e con tutta la loro forza, il talento e la bellezza uscissero dalla tela per camminare nel mondo da protagoniste.
In chiusura la Haydock fa una rivelazione importante: quando Adele Harms muore nel ’68 viene sepolta a Ober-Sankt-Veit nella stessa tomba di Schiele. La moglie Edith, invece, giace accanto.