Dove e quando

Gué Pequeno sarà al Be Lugano (ex WKND, Via Trevano), sabato 18 novembre con un club show. Per prenotazioni www.be-lugano.ch oppure tramite facebook

Cosimo Fini, in arte Gué Pequeno (Davide Stallone)

Le libertà di Gué Pequeno

A colloquio con il rapper e produttore discografico italiano ex Club Dogo, re delle classifiche
/ 13.11.2017
di Simona Sala

Da uno che canta «Voglio essere una specie di Robin Hood del rap / Per il senso di rubare ai ricchi per poi dare a me / Pensavo che con la musica ci avrei comprato un jet / Così mi svegliavo a sud e mi addormentavo ad est / Cento, mille, diecimila, centomila, un milione / Il tempo qua è denaro e dei miei tempi sono figlio» nel tormentone Milionario, forse ci si aspettava un pizzico di strafottenza in più. Anche perché il rap non è certo nato per conciliare gli animi degli ascoltatori. Eppure Cosimo Fini, in arte Gué Pequeno, quando ci raggiunge in redazione, oltre all’aria di uno che è arrivato e a un’innata irriverenza, dimostra di avere anche il dono dell’ironia e un’incredibile affabilità.

Perché uno dei più importanti cantanti rap d’Italia decide di stabilirsi nella sonnacchiosa Lugano, che qualcuno ha definito un presepe?
Io sono nato e cresciuto a Milano, ma mi sposto di continuo tra LA, Miami, Londra e Barcellona. Vivendo una vita piuttosto frenetica ho pensato fosse saggio avere un posto tranquillo. A Lugano ho un’attività commerciale e ho acquistato una proprietà, e ormai da tre anni è la mia base ufficiale. Questo è un buon posto da cui partire, ma è anche un bel posto in cui ritornare al termine di ogni periodo impegnativo, anche perché ho dei legami affettivi: oltre a molti amici qui c’è Jay-K, il dj che mi accompagna in tour, una vera e propria eccellenza svizzera dell’hip hop, già campione del mondo.

In una recente intervista lamentavi il fatto che l’Italia ancora non comprenda appieno l’hip hop. Sebbene in internet l’hip hop registri milioni di visualizzazioni, in tv si continuano a invitare cantanti neomelodici come Albano o Tiziano Ferro… L’impressione è che si siano creati due mondi paralleli molto distanti.
È esattamente così, anche se grazie al digitale e allo streaming, fortunatamente il mercato si è assestato, creando un po’ di quella che io chiamo giustizia. Per anni noi rapper abbiamo cercato di accedere al mainstream piegandoci alle logiche di mercato, facendo dei singoli per la radio, ecc. Io sono nel business da almeno dieci anni, e finalmente le cose cominciano a cambiare: da quando sono solista – dopo l’esperienza con i Club Dogo – ho trovato la mia libertà e ho capito che non devo piegarmi per andare incontro al gusto commerciale italiano. E ora mi prendo la soddisfazione di dire e fare quello che voglio. (ride) Per ora non è ancora arrivato il ragazzino che mi supererà, anche se succederà presto.

Quindi hai deciso di fare a meno della televisione…
Ovviamente non sono molto televisivo. Da Fazio non potrei andare perché la mia immagine e la mia poetica si scontrano con un certo modo di fare televisione. Nonostante abbia anche una carriera mainstream, io posso arrivare solo fino a un certo punto. Se vuoi andare oltre devi essere J-Ax e Fedez… devi essere democristiano! Recentemente il rapper Ghali, che ho scoperto io, è andato da Fazio a Che tempo che fa. Purtroppo il tutto è finito in una povertà e una mediocrità tutte italiane, in cui a Ghali è stata affibbiata l’etichetta di immigrante… eppure il suo disco è leggero e non tanto sociale…

Ma il fatto che Fazio, forse grazie a Saviano, si sia accorto di Ghali dovrebbe essere una cosa positiva…
Saviano si è «innamorato» del personaggio di Ghali, ma secondo me ha esagerato. Così come io non vado a fare un’intervista sulla terra dei fuochi, lui non dovrebbe parlare di hip hop, ci risparmierebbe frasi come «Ghali ha liberato il trap dal gangsta»… (sorride)

Fedez e J-Ax sono dei rapper?
C’è un po’ di ambiguità, loro stessi non sanno come definirsi, sono comunque considerati urban. Hanno appena annunciato un concerto a San Siro, cosa che nessun rapper aveva fatto, anche perché quello dell’hip hop è un pubblico composto per lo più da fan molto giovani, e quindi con scarsa disponibilità finanziaria. Fedez e J-Ax hanno avuto la capacità di creare un genere transgenerazionale, coinvolgendo un pubblico vastissimo, che spazia da radio RTL ai fan della De Filippi, dalle coppie ai bambini piccoli. Il loro business plan è ineccepibile, si muovono in modo molto americano, calcolando ogni rischio. Su questo nulla da ridire, ma – senza offesa – trovo che la loro musica attuale sia un po’ uncool

La musica in generale sta vivendo una fase di profondo cambiamento.
Anche in Italia finalmente c’è più democrazia grazie allo streaming. La musica non viene più imposta dalle radio o dalle televisioni, perché c’è Spotify. Recentemente Diplo, il re dell’elettronica, ha lanciato una polemica affermando che finalmente, ora che i ragazzini possono decidere cosa ascoltare, non opteranno più per Taylor Swift, preferendo Cardi B o Post Malone. Se un tempo anche in Italia radio e marketing decidevano chi lanciare, ora da una parte c’è un pubblico che ascolta mainstream, è ancora legato al cd in forma fisica e permette a Ligabue di riempire gli stadi! Dall’altra abbiamo per la prima volta dei fenomeni come Sferaebbasta che, grazie all’ascolto digitale dei giovanissimi, a vent’anni è già un top artist. È un po’ come se la dittatura musicale fosse finita. Un pubblico così giovane presenta comunque anche dei rischi, è influenzabile e difficilmente prevedibile.

Le scelte per le case discografiche saranno dunque più complesse?
Per anni noi rapper dalle case discografiche abbiamo preso solo le briciole… ma ora i numeri stanno lentamente cambiando...

Internet favorisce i contatti tra artisti?
Certo, pensiamo al «featuring» (un cantante è «ospite» nella canzone di un altro artista, NdR), un modo frequente di fare circolare la musica da un Paese all’altro. Io credo molto nel featuring, soprattutto europeo.

La televisione in che direzione andrà?
Non so, ma d’altronde la Rai ha campato per cent’anni senza mai rinnovarsi. Gli uffici Rai di Milano, Roma o Napoli sono tutti uguali, sembra di entrare negli uffici di Fantozzi! Fino a qualche tempo fa se non passavi in tv o in radio per parenti e amici eri un fallito, il potere della tv era enorme. Oggi la gente perfino dal parrucchiere ha il proprio smartphone e ascolta e guarda ciò che vuole. Io stesso quando non ascolto musica guardo molte serie su Netflix... sono molto ispirato dalla fiction.

L’ostentazione del lusso nel rap è spesso un must, così come l’uso di parolacce e volgarità. Fino a che punto è una provocazione?
Per me il rap è una passione e tutto è a livello ludico, non voglio provocare nessuno. Si tratta pur sempre di spettacolo, una forma leggera di intrattenimento. Se mi sono innamorato di questa musica è anche per la libertà che mi dà. Io non voglio mandare dei messaggi perché la mia musica non è politica o sociale. Ai tempi dei Club Dogo ci si scagliava un po’ contro il sistema, ma poi siamo diventati corrotti (ride)… Caparezza è uno che scrive testi intelligenti, ha un’ottima metrica, ed è molto amato anche per i suoi temi. Non è un vero e proprio rapper, ma le sue cose le fa bene. In me questa componente non c’è, ma spero comunque di incuriosire e stimolare la riflessione.

Chi sono i tuoi modelli americani?
Non sono purista e ascolto molte cose nuove. Amo i Migos, Drake, Travis Scott. Purtroppo questi grandi artisti mondiali fanno raramente tappa in Italia e questo dovrebbe farci riflettere. Sono anche un grande fan del reggae e del latino, quest’ultimo un genere che sta contaminando sempre più il rap. Molte star oggi provengono da isole caraibiche, basti pensare a Cardi B, Rihanna o Nicki Minaj.

Fai ancora il talent scout?
No, credo di avere dato abbastanza! Ero co-proprietario di un’etichetta discografica che ha lanciato Fedez, Ghali e Salmo. È un mestiere difficile, perché l’artista è portato a tradire: si fanno sempre molti discorsi ideologici, poi davanti a un contratto allettante tutti cambiano! D’altronde passare a una major vuole anche dire crescere. Quando producemmo Ghali, lui e il suo gruppo si beccarono molti insulti da tutta Italia per il loro stile swag. Ora a distanza di cinque anni, tutti i ragazzini si atteggiano così.

Hai progetti imminenti?
Sto suonando fuori dall’Italia al momento, ho fatto Londra e Barcellona, presto andrò a Berna e a Zurigo, dove c’è una bella comunità italiana. Poi partirò per gli USA. Ho voglia di fare un nuovo disco grande.

E l’Italia?
L’Italia è una noia per molte cose, ma è un gran bel paese!