L’arte di Tarek Lakhrissi (nella foto) è tutto fuorché liscia e rassicurante. Quello che la caratterizza è piuttosto una volontà rivendicata di trasformare l’invisibile, la marginalizzazione «banalizzata» di una diversità fastidiosa, invisibile. La traduzione di sentimenti repressi attraverso la parola diventa l’arma con la quale affrontare un mondo dominato da una soffocante e unilaterale «normalità». Questa volontà sprezzante di gridare una verità celata si esprime nei suoi lavori attraverso una corporalità indomita e rivoluzionaria.
Tarek Lakhrissi e i suoi performer abitano letteralmente la scena utilizzando la propria persona come strumento di rivendicazione identitaria. Si tratta di corpi spesso scomodi, atipici e volutamente fluidi che escono dall’ombra diventando i protagonisti indiscussi di una narrazione che (troppo) spesso li esclude. Le opere di Tarek trasformano la scena in una sorta di «terra di nessuno» dove esprimere delle verità «alternative» scandite da corpi cyborg (per riprendere un concetto caro a Donna Haraway) che lottano per imporre la propria unicità.
Artista e poeta francese con un background in letteratura, influenzato dalle teorie femministe e queer di autori quali Elsa Dorlin, Kaoutar Harchi, Jean Genet, Monique Wittig e José Esteban Muñoz, Tarek Lakhrissi si esprime attraverso installazioni, performance, video e scrittura. Interessato da sempre alle questioni politiche e sociali legate a narrazioni alternative nelle quali il linguaggio si trasforma in messe in scena bizzarre e liberatorie, i suoi lavori sono dominati da atmosfere spiazzanti che si nutrono di esperienze queer e minoritarie. Le sue opere sono state esposte in istituzioni artistiche prestigiose quali il Palais de Tokyo, la Fondation Pernod Ricard di Parigi (che lo accoglie attualmente in residenza), il Wiels di Bruxelles o ancora l’Espace Arlaud di Losanna, senza dimenticare la sua partecipazione alla ventiduesima Biennale di Sydney. Un percorso internazionale che dimostra quanto il suo discorso e la forza sovversiva delle sue creazioni siano universali.
Tra le sue opere più potenti ritroviamo Unfinished Sentence II, installazione multisensoriale che gioca con i suoni e le luci per creare un universo unico nel quale il reale è messo costantemente in pericolo. Presentata nel 2020 al Palais de Tokyo, Unfinished Sentence II è un’opera globale creata in collaborazione con l’artista e musicista parigino Ndayé Kouagou, anche lui fautore di universi nei quali si affrontano tematiche legate alla legittimità, alla libertà e all’amore. Lo spazio espositivo è dominato da trenta lance di metallo sospese al soffitto con delle catene. Grazie al movimento degli spettatori che deambulano nella sala, queste armi al contempo minacciose e poetiche oscillano creando dei riflessi iridescenti sulle pareti e sul pavimento. Ornamentali ma anche e soprattutto metaforiche e teatrali, queste armi si riferiscono direttamente all’universo bellicoso dalle guerrigliere di Monique Wittig.
Con Les guérillères, opera pubblicata in un momento chiave per il «Mouvement de libération des femmes», la poetessa, scrittrice e militante femminista francese mette in scena un gruppo di amazzoni femministe lesbiche che lottano contro il «mito (pericolosamente essenzialista) della «donna» ma anche contro la letteratura intesa come luogo di dominazione patriarcale. Tarek Lakhrissi reinterpreta le rivendicazioni di Wittig avvalendosi dei miti della sua infanzia: Buffy l’ammazza vampiri e Xena la guerriera. Il risultato è una miscela esplosiva che comprende elementi di un passato mitologico ma anche di un futuro utopico che ci spinge a riflettere sulle identità queer e «razzializzate». Lo spazio espositivo diventa una sorta di campo di battaglia nel quale ricostruirsi al di fuori di una norma soffocante e unificante.
Sick Sad World (2021) fa parte della stessa corrente di rivendicazioni queer. Accompagnato a livello drammaturgico e coreografico dall’artista visivo, ballerino e coreografo filippino (trasferitosi a Bruxelles per frequentare la famosissima scuola P.A.R.T.S) Joshua Serafin, Tarek esplora i sentimenti di alienazione e alterità che diventano, grazie alla scena, bellezza sovrannaturale. Tra confidenze intime dal sapore adolescenziale, parole tratte dal repertorio operistico e Lip Sync queer, Sick Sad World trasporta lo spettatore in un universo parallelo nel quale sogni e chiacchierate sotto le coperte si mescolano regalandoci uno spazio di libertà nel quale tutto sembra possibile.
Con il video/performance Spiraling (2021), coprodotto in collaborazione con la Shedhalle di Zurigo e creato in binomio con il musicista Fatma Pneumonia (pseudonimo di Victor da Silva), Tarek sfida, attraverso la potente metafora della forma spirale, l’architettura austera e molto geometrica del luogo espositivo (una galleria dell’Haus der Kunst). Ispirato all’opera Untitled (Go-Go Dancing Platform) dell’artista e attivista cubano Félix Gonzàlez-Torres, Tarek Lakhrissi si avvale dei movimenti rotatori prodotti della ballerina e attivista per i diritti queer Mila Furie così come della sua stessa voce che recita un racconto Coming of age per creare un mondo filmico altamente seducente che unisce poesia, erotismo e cultura pop. Lo scopo di questo complesso dispositivo, al contempo provocante e provocatorio, è quello di riflettere sullo sguardo (posato sull’altro) in quanto strumento di potere.
Cos’è l’arte se non un grido di rivolta contro un modello narrativo che esclude sistematicamente l’anormale, il non conforme, in poche parole il mostro? L’arte di Tarek Lakhrissi ridà voce e sostanza a corpi disprezzati ed esclusi regalandogli finzioni narrative alternative nelle quali valorizzare la propria identità.