«Forse è ancora da imputare solo alla mia scarsa immaginazione il fatto che il libro mi sembri ancora il migliore di tutti i mezzi di comunicazione, nonostante la carta utilizzata da alcuni secoli non sia resistente come il papiro, la pergamena, la pietra, la ceramica o il quarzo, e nemmeno il corpus degli scritti biblici, il più stampato e tradotto nel maggior numero di lingue, ci sia stato trasmesso nella sua interezza».
L’oggetto libro in senso vecchio, quello con carta, cartone e rilegatura a filo, sostanzia anche con questo Inventario di alcune cose perdute un suo pregio autonomo e insostituibile. Prendendolo in mano dalla parte del bordo, si noterà che ogni sedicesimo è come fasciato da un foglio buio, che separa i singoli racconti e riporta, con gioco di neri, riproduzioni legate allo spunto di ognuna delle vicende. Ciò comporta una scelta di tipo artigianale ma anche testuale; essendo di carattere e corpo e interlinea uniforme, i singoli testi hanno anche estensione uguale, restando ognuno nelle sedici pagine del fascicolo. Se aggiungiamo, poi, la bella immagine di copertina, la trama all’interno dei risvolti che chiama quei neri e, almeno sembra, un profumo particolare che emana dalla carta fin dai primi istanti in libreria, allora il capolavoro tipografico è supremamente realizzato.
Le cose perdute continuano un canone al quale Judith Schalansky, scrittrice, designer e appassionata di arte tipografica, sembra essere da tempo fedele: quello dell’elenco di inusualità passate in rassegna in una sorta di repertorio sistematico. Molti ricorderanno il sofisticato Atlante delle isole remote, pubblicato qualche anno fa in edizione italiana da Bompiani. Qui cose è termine adatto, perché nel numero rientrano palazzi, monumenti, animali estinti, persone, studiosi, individui bislacchi, copie di lungometraggi tanto mitici quanto introvabili ecc. Ognuna di queste rarità è introdotta da breve scheda e fornisce lo spunto per una narrazione che più o meno ne riprende il carattere.
Tra le perdite, la tigre del Caspio, estinta da una sessantina di anni; i frammenti delle poesie di Saffo (ne sopravvivono circa il 7% dell’intera opera); la villa romana della famiglia nobile dei Sacchetti, costruita nel Seicento e demolita alla fine dell’Ottocento; la curiosa attività di Armand Schultess, una sorta di operoso e ostinato neorurale zurighese trasferitosi negli anni Cinquanta nella valle Onsernone, dove ebbe una pratica ossessiva di enciclopedizzazione del mondo affidata agli alberi. Al lettore è richiesta una sorta di ginnastica interpretativa, che consiste nel trovare nel testo le tracce dei memorabilia via via chiamati a raccolta; non sempre il legame è esplicito, e l’oggetto-spunto fa talora anche solo un timido capolino in mezzo a tutt’altra sostanza.
Ora, si sa che la ricchezza di uno storytelling sta nella forma più che nella vicenda; la storia può essere anche banale ma uno stile all’altezza ne può sollevare i destini verso valori smisurati. Non è difficile isolare nella letteratura anche contemporanea qualche saggio di questa abilità. Un po’ a caso: fatta salva la mediazione della traduzione (che è però di Raul Montanari), l’entrata del branco di cani all’inizio di Child of God di Cormac McCarthy; taluni passi degli ultimi due romanzi di Colson Whitehead; l’incedere storico del libro di Antonio Scurati su Mussolini; alcune altre cose. In questo libro e in questa linea si iscrivono parecchie prove della nostra Judith: certamente il combattimento delle fiere nel capitolo sulla tigre del Caspio o la descrizione di Roma all’inizio delle pagine dedicate a villa Sacchetti («Come ogni sovrano, questa città ha due corpi…») e ancora, di quel testo, il finale.
Insomma, Judith Schalansky riesce nella non facile operazione di confezionare un libro che è notevole in tutti i suoi aspetti: la tecnica, la forma stilistica, il vestito tipografico. Infine, l’oggetto in sé è prezioso; da non portare in spiaggia.
Le cose da ricordare
Il libro assoluto e ineccepibile di Judith Schalansky, che raccoglie insieme racconti di stile rigoroso e un supporto di pregio
/ 03.08.2020
di Stefano Vassere
di Stefano Vassere