Lassù sull’alpe Arena

Nel documentario di Aldo Gugolz "Anche stanotte le mucche danzeranno sul tetto" il racconto della dura vita di montagna
/ 07.06.2021
di Nicola Falcinella

Recente vincitore del prestigioso Trento Film Festival, dopo avere esordito a quello di Nyon, arriva giovedì nelle sale del Ticino il bel documentario Anche stanotte le mucche danzeranno sul tetto di Aldo Gugolz girato nell’Onsernone e a Locarno. Il film sarà accompagnato dall’autore per alcune presentazioni: mercoledì alle 21.30 al Lido San Domenico a Gandria, giovedì alle 20.30 al Cinema Teatro Mignon & Ciak a Mendrisio e venerdì, ancora alle 20.30, al Cinema Otello di Ascona. Il regista lucernese ha seguito Fabiano, allevatore che porta le sue bestie al pascolo sull’alpe Arena e sta per avere un figlio dalla compagna Eva. Sullo sfondo, come un’ombra che crea una sensazione di thriller, il ritrovamento del corpo del pastore macedone Nikola scomparso all’improvviso nell’estate 2017.

Aldo Gugolz, come ha conosciuto questo luogo e questa storia?
Nel 1989 con un amico compii una gita molto bella alla scoperta di questi monti e trascorsi una notte nella capanna su questo alpeggio. Conobbi l’alpigiano Giorgio, che era lì prima di Fabiano, che sull’alpe guarì dalla dipendenza da eroina: l’alpe era un luogo felice, si viveva in armonia con la natura, lontano da tutto.

Dopo quasi 30 anni sono tornato e ho trovato una situazione diversa, con uomini provenienti da diversi paesi, e ho avuto l’idea di un film sugli uomini che passano l’estate con gli animali. Girando è cambiato tutto e l’idea che avevamo in mente non c’era più, perché era comparsa Eva. E si è saputo della scomparsa di Nikola. Non volevamo soffermarci troppo sulla vicenda già trattata da «Falò» e dai media: non era il nostro scopo, volevamo documentare la vita di una famiglia in alpeggio, che vuole fare il formaggio e stare nella natura pur con tutte le difficoltà.

Abbiamo girato per circa due anni e mezzo, seguendo la loro vita. La nascita del bambino a Locarno è stata una bella occasione per creare il contrasto tra i due mondi. Loro fanno molta distinzione tra i due mondi, due mondi che non si mischiano bene. Fabiano diceva che non vedeva l’ora di tornare in alpe.

Fabiano come ha accettato l’idea del film?
Gli ho spiegato che volevamo fare un film sulla sua vita, mostrarla per come è, ed è stato subito d’accordo. Lo sfondo del film è il caso di Nikola, con il punto di vista di Fabiano. Volevo mostrare come si può vivere con il senso di colpa, senza pressare, ma osservando come continua la sua vita. Non volevo fare un film alla Heidi che mostra un mondo bello, perché non è così.

Quell’estate ha piovuto molto, ma ho filmato anche giornate belle. Nel montaggio si vedeva che il film perde tensione con troppo bel tempo. La giornata di transumanza e di salita all’alpe è stata molto bella e tutti erano felici, ma stonava nel montaggio, perché questo è anche un film sulla paura. In novembre, al termine di una proiezione, una donna mi ha detto che questa è la verità, poiché la vera vita sull’alpe è quando è brutto e piove.

Il bel tempo è una pausa, un’illusione. Se ci andiamo in gita pochi giorni è bello, ma se stai là con la paura di essere colpito da un fulmine è diverso. La scena di Dominik che si perde e racconta del fulmine è quasi un parallelismo con quel che è successo a Nikola. Da idillio diventa tutto pericoloso, basta un passo sbagliato e sei perso. Anche Fabiano mi ha detto che non è tutto così negativo, ma ci sono anche queste cose e volevo raccontarle.

Come ha reagito Fabiano alla visione del film?
Non gli è molto piaciuto vedere come è, non vuole più parlare del passato. È una persona chiusa ma onesta, non avrei potuto fare il film senza di lui, libero e aperto in quello che dice. Le persone che offrono la loro vita per un documentario poi non ne vogliono più sentire parlare e questo è un problema per il regista. Ma il film ha bisogno di una tensione e il pubblico vuole vedere qualcosa di interessante e che emozioni. Il documentario può aiutare a capire com’è la vita lì, ma resta soggettivo, è arte, non c’è un’obiettività assoluta.

Ci siamo chiesti anche come raccontare della presenza di Tobias, questo criminale che era passato da lì e del quale si è saputo solo alla fine: non si può dire molto, ma non si poteva nascondere o ignorare. Abbiamo cercato nel montaggio di raccontare sia la valle come sogno hippie, come era stato per i genitori di Fabiano, sia come luogo dove qualcuno può provare a nascondersi.

Come potrà essere accolto dal pubblico ticinese?
Non so, esso potrà vedere una realtà ticinese che è nascosta. Un film è una possibilità di scoprire qualcosa che normalmente non si vede. Il documentarista può prendersi il tempo e stare a osservare quel che un visitatore non vede in poche ore o giorni. Un film è anche l’esperienza, non solo fatti, poiché non è un reportage: ti tocca emozionalmente, ti fa pensare a cose universali, ciascuno si può sorprendere con i propri pensieri.

Sono contento che finalmente si possa mostrare nelle sale e spero che un tema locale possa richiamare gli spettatori. In sala è importante il suono, che fa rivivere la vita dell’alpe con la natura e gli animali. Sembra che gli animali ne sappiano più di noi, che siano un po’ mistici. E se volete sapere com’è la situazione, prendetevi il tempo, camminate e salite all’alpe Arena.