Dove e quando
Pietro Consagra. La materia poteva non esserci. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano. Fino al 9 gennaio 2022. Orari: da venerdì a domenica dalle 11.00 alle 18.00.
www.collezioneolgiati.ch


L’arte come dialogo

A Lugano un omaggio allo scultore italiano Pietro Consagra
/ 11.10.2021
di Alessia Brughera

Artista della cosiddetta «generazione di mezzo», composta da quelle figure attive dal secondo dopoguerra che hanno contribuito a definire le linee estetiche del Novecento, Pietro Consagra nel suo lungo percorso di ricerca ha affrontato tematiche e modalità artistiche in stretto rapporto con un impegno civile e ideologico. Scultore, ma non si dimentichi anche il suo notevole lavoro di scrittore e di critico, è stato tra le personalità di maggior rilievo all’interno del dibattito e del rinnovamento plastico iniziato negli anni Sessanta.
Nato nel 1920 a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, dopo un’infanzia e una prima giovinezza trascorse nella terra d’origine, Consagra si trasferisce a Roma nel 1944 per sentirsi nel «cuore pulsante della creatività». Qui conosce Renato Guttuso, siciliano come lui, Giulio Turcato, Mario Mafai, Piero Dorazio e molti altri, con cui si confronta per capire da dove ripartire affinché l’arte possa essere connessa all’esistenza dell’uomo e alla società.

Con il viaggio a Parigi nel 1946, organizzato dalla Gioventù Comunista, Consagra ha l’opportunità di incontrare Anton Pevsner, Henri Laurens, Fernand Léger e Alberto Giacometti, di visitare gli atelier di Constantin Brâncuşi e di Julio González nonché di vedere i gessi di Picasso.

Di ritorno dalla Ville Lumière lo scultore ha ben chiara in mente la strada da intraprendere, quella dell’astrattismo. Nel 1947 fonda il gruppo Forma 1, affermando il valore estetico della purezza formale quale unico fine dell’opera d’arte. Convinto che l’astrazione sia il solo linguaggio in grado di innescare un vero rinnovamento artistico, Consagra inizia a elaborare la sua personale cifra stilistica con l’obiettivo che lui stesso condensa in queste parole: «Esprimere il ritmo drammatico della vita di oggi con elementi plastici che dovrebbero essere la sintesi formale delle azioni dell’uomo a contatto con gli ingranaggi di questa società».

Spronato da un’esigenza di ordine morale, Consagra forgia le sue opere muovendosi in direzione di una cultura ispirata al socialismo. L’attività dell’artista siciliano, fin dagli esordi, si è infatti sempre concentrata su un’idea di inclusione e di appartenenza. Per questo uno dei tratti caratteristici dei suoi lavori è la visione frontale, una sorta di sfida alle convenzioni della scultura a tutto tondo e all’assolutismo della statuaria classica in favore di un dialogo immediato e di un confronto paritario tra oggetto e osservatore.
Questa lotta contro la tridimensionalità coincide con la creazione di un nuovo spazio in cui l’opera non è più un’entità indipendente che catalizza l’interesse dello sguardo (e quindi emblema secondo Consagra del potere e della gerarchia di relazioni) ma diventa parte di un rapporto autentico con il fruitore, simbolo dell’aspirazione a un mondo più giusto ed egualitario. Nei suoi lavori realizzati nel corso dei decenni con diversi materiali – dal bronzo al ferro, dall’acciaio al legno e al marmo – l’artista utilizza così la visione frontale come una possibilità per sgravare la scultura dal peso del suo bagaglio storico, conducendola verso l’essenzialità dei concetti.

La mostra di Pietro Consagra allestita presso la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati a Lugano, la prima che un’istituzione pubblica svizzera dedica all’artista, testimonia bene come nel suo prolifico percorso egli abbia costantemente posto al centro della propria ricerca la consapevolezza dell’importanza dell’uomo e dell’arte per edificare una società più democratica. La rassegna è stata organizzata con l’intento non solo di celebrare il suo centenario della nascita (che cadeva nel 2020 e che la pandemia ha rinviato) ma, ancor più, di omaggiare un artista che agli Olgiati è stato legato da un vincolo di grande amicizia e stima. Basti pensare alle rassegne che i due collezionisti gli hanno riservato a partire dalla metà degli anni Novanta alla Fonte d’Abisso Arte, la nota galleria milanese di cui Danna era titolare.

La retrospettiva luganese curata da Alberto Salvadori, in collaborazione con l’Archivio Consagra di Milano, espone una nutrita selezione di opere dell’artista che va dagli anni Cinquanta ai primi anni Settanta, presentata secondo un itinerario che procede a ritroso nel tempo.

Ad accogliere il visitatore sono alcuni lavori della fine degli anni Sessanta in cui si manifesta la stretta relazione tra scultura e architettura, peculiarità dell’indagine di Consagra. Folgorato dalle architetture di Frank Lloyd Wright e di Louis Sullivan, ammirate durante il suo soggiorno negli Stati Uniti tra il 1967 e il 1968, Consagra riflette sulla città come luogo in cui far confluire tutta la complessità dei rapporti tra gli individui. A Lugano viene esposta La città frontale, il plastico di uno spazio urbano costruito dall’artista come fosse un’estensione della sua scultura, con gli edifici in acciaio dal profilo curvilineo, concepiti secondo i canoni estetici della frontalità, a incarnare una visione dell’architettura «mobile, provvisoria, trasparente, paradossale, sfuggente alle strutture eternali del Potere, disponibile alla mutabilità delle scelte».

Di particolare interesse sono i Lenzuoli di Consagra risalenti ai primi anni Settanta, grandi teli dipinti che l’artista usa come un campo di sperimentazione libero, come ampie pagine su cui schizzare senza alcun vincolo «immagini vaganti». Si tratta di opere intime, personali, che Consagra, girovago per tutta la vita, era solito portare con sé ogni volta che cambiava città, appendendole ai muri di casa per arredare il proprio spazio domestico.

Si incontrano poi alcuni lavori appartenenti alle serie dei Ferri trasparenti e dei Giardini, eseguite tra il 1965 e il 1967, in cui Consagra approda al colore. D’altra parte la Pop Art aveva appena fatto il suo ingresso in Europa con la Biennale di Venezia del 1964 e gli artisti più accorti non potevano rimanerne indifferenti. Lontano però dall’idea del colore come portavoce di iconografie legate agli scenari della società dei consumi, Consagra lo impiega come nuovo elemento per trasformare la scultura. Queste opere, in cui ogni pezzo di ferro è stato assemblato agli altri con estrema perizia tecnica attraverso l’uso della fiamma ossidrica, trovano la loro ragion d’essere nel contrasto tra le forme ispirate alla natura e l’artificialità di colori dalle tonalità immaginifiche.

Ecco ancora, nella parte finale del percorso espositivo, alcuni importanti lavori del ciclo dei Colloqui, che Consagra realizza negli anni Cinquanta in bronzo e in legno bruciato e a cui dà questo titolo per l’esclusività del punto di vista frontale da cui osservarli, garanzia di un impatto diretto e di un dialogo privo di ambiguità. Nonostante la loro bidimensionalità, queste sculture sono animate da un incalzante ritmo interno generato dalla sovrapposizione degli strati di metallo, dall’alternanza di pieni e vuoti o dagli effetti di profondità ottenuti tramite le bruciature che variano il colore e lo spessore del legno (si vedano ad esempio Omaggio a Paisiello, del 1955, o Incontro incantato, del 1957).

Merito di Consagra, ed è proprio questo il suo lascito più importante, è l’aver posto l’individuo di fronte all’opera d’arte rendendolo consapevole del proprio valore. Come ha sottolineato il critico d’arte Giulio Carlo Argan, la sua «è una poetica umanistica, perché riafferma che l’arte non è un messaggio misterioso, ma qualcosa che l’uomo fa per sé stesso e per gli altri».