Se chiudo gli occhi i ritratti che mi tornano alla mente sono quelli femminili. Forse perché molte donne sorridono. Penso allora, in particolare, a Fernanda Pivano e Toni Morrison che si tengono per mano e sembrano spassarsela come due amiche di lunga data che sentono l’una per l’altra la stessa affinità. Entrambe sono state traduttrici e scrittrici, Toni Morrison è stata la prima afroamericana a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1993. Quando le guardi vorresti sapere che cosa si stanno dicendo, vorresti condividere quel momento intenso, di vita vera con loro. Oppure a Inge Feltrinelli con le sue lentiggini, le rughe che si aprono come un sole sul viso, i grandi occhiali tondi anni 70 sulla testa che abbraccia il suo autore e amico Günter Grass con l’immancabile pipa e il sorriso di chi si trova in quel momento con la persona giusta nel posto giusto. E poi ancora la più cupa e riflessiva Meret Oppenheim sul suo balcone parigino, la tenebrosa e intensa Gae Aulenti stesa sul divano o l’audace ed elegantissima Miuccia Prada.
Di certo ogni scatto sembra mostrarci volti e persone nella loro autenticità, la famigliarità che ci trasmettono questi ritratti è quella che solitamente sentiamo per chi conosciamo bene, per chi fa parte della nostra sfera più intima. La spontaneità dei soggetti di Maria Mulas fa pensare che non sapessero, in quel momento, di essere al centro dell’obiettivo. In verità, il curatore della mostra Andrea Tomasetig ci rivela che il segreto del fascino dei ritratti di Maria Mulas sta proprio nella sua arte fotografica che inizia ben prima di tenere in mano la fotocamera. «Maria sapeva mettere a proprio agio le persone. Conosceva bene il mondo nel quale si muoveva, quello dell’arte, della moda, dell’editoria, dell’architettura e del design milanese, faceva parte di quel mondo dove raccoglieva stima, simpatia, affetto e a sua volta si rapportava con empatia a ciò che fotografava. A questo si aggiunge la capacità naturale di vedere le cose e ciò che sta dietro, unita a una coltivata bravura professionale e alla qualità delle relazioni intessute, che la portava a essere sempre nel posto giusto al momento giusto».
Nata e cresciuta a Manerba del Garda in una famiglia di fotografi, arrivata a Milano poco più che ventenne nel 1956, Maria Mulas fece la gavetta nello studio fotografico del fratello Ugo che sarebbe poi diventato un punto di riferimento importante della fotografia italiana del secondo Novecento. Incerta se diventare pittrice o fotografa si decise per la seconda ma, sottolinea il curatore, «è sempre stata una fotografa sui generis e una battitrice libera che si muoveva al di fuori delle dinamiche di mercato. Una professionista riconosciuta, stimata, amica di Inge Feltrinelli che la chiamava alle sue feste, le faceva conoscere il mondo editoriale; amica degli artisti, dei galleristi e al contempo però una fotografa che ha dovuto conquistarsi il suo spazio». Nei cento ritratti selezionati per la mostra allestita nell’Appartamento dei Principi di Palazzo Reale, scatti provenienti dall’Archivio Maria Mulas che ne conta oltre cinquecento, non c’è solo l’anima dei grandi personaggi della Milano del secolo scorso come Bruno Munari, Roberto Calasso, Franco Zeffirelli, Dario Fo, Carla Fracci, Ettore Sottsass, Giorgio Strehler, e Harald Szeemann, per citarne alcuni, ma c’è ritratta l’anima profonda della città dinamica, creativa, al lavoro, la Milano capitale del design, della moda, dell’editoria.
Non solo la città meneghina però, una sezione è dedicata a Maria nel mondo e ci racconta «il contesto internazionale dei tanti artisti che incontrava nei loro studi, da Christo a New York a Joseph Beuys a Düsseldorf. Maria andava sempre alla Biennale di Venezia, a Documenta a Kassel. Spesso accompagnò Lea Vergine dalle signore dell’arte del primo Novecento, coloro che furono protagoniste de L’altra metà dell’avanguardia, mostra che nel 1980 fece storia ed espose gli scatti di Maria Mulas, alcuni dei quali sono anche qui».
«Esistono centinaia di fotografie di Andy Warhol, Umberto Eco, Marina Abramović, Franco Zeffirelli, Federico Fellini – spiega il giornalista di “Corsera” Paolo Fallai nel catalogo – ma c’è un solo sguardo intenso, naturale, straordinariamente rivelatore che “la ragazza con la coda rossa” ci ha regalato. Consentendo a loro di uscire dalla cornice della notorietà stereotipata e a noi di sentirceli ancora un pochino più vicini».
Mentre la figlia Patrizia Zappa Mulas ricorda come da bambina vedeva tornare a casa Maria «fresca di strada con la borsa piena di rullini fotografici. FP4, HP4, ci stava scritto sopra. Avevo già imparato a riconoscere quelli vergini per la pellicola che penzolava fuori come una lingua. I rullini erano la misura dell’umore di mia madre. Quando scattava foto stava guardando dentro sé stessa».
Dove e quando