L’obiettivo della mostra è di avvicinare il visitatore ai modi di fare arte e a una riflessione sui materiali e i mezzi espressivi. Hartung come precursore dell’informale che appare sulla scena artistica negli anni 50 e si contrappone alla vecchia maniera dell’astrazione geometrica delle scuole del Costruttivismo, di De Stijl e del Bauhaus. La complementarietà tra pittura e grafica, che qui riconferma la dignità della grafica come tecnica a sé e non è più vista come appendice della pittura. Sia in Hartung (1904-1989), sia in Strazza (1922), sia in Cavalli (1930) la pittura, il disegno e la grafica comunicano uno stesso sentire artistico.
Hartung si afferma sulla scena artistica con i lavori degli anni 1953-59, esposti alla Documenta di Kassel nel 1959. I primi acquarelli astratti sono del 1922, mentre nel 1924 realizza le prime tele astratte. Nel 1933 a Minorca crea opere dagli accenti sempre più informali, sulla base dei primi acquarelli. Nel ’54 Strazza è a Venezia e incontra tra gli altri Parmeggiani e Vedova.
Cavalli completa gli studi a Milano (Accademia di Brera, 1954) ed espone nel 1967 alla nota Galleria il Milione di Milano. Tutti e tre seguono le orme della tradizione artistica europea indirizzando lo sguardo verso l’origine del segno dei grandi maestri. Cavalli s’interessa al lavoro di Morandi e Braque, Hartung a Frans Hals, a Rembrandt e a Goya, mentre Strazza s’interessa a Piranesi e Rembrandt. Tutti e tre gli artisti rivolgono l’attenzione ai loro predecessori, affrancandosi da ciò che è stato fatto per dar vita a nuovi modi di intendere e fare arte. L’esposizione si sviluppa su due diverse scelte museografiche. La disposizione è cronologica, susseguendo sale dedicate al singolo artista ad altre comuni. In particolare, il quadro dai toni bianco/grigio di Strazza (dal formato stabile, con poche variabili cromatiche e con un segno continuo che deborda lo spazio) riconferma il titolo Segno continuo, 2012, è contrapposto al quadro nero di Cavalli Senza titolo, 1990, di formato verticale (dai molti segni bianchi, contrastanti e verticali che riconfermano il formato), per poi ritrovare Hartung con L 1973 -12 1973, dove il doppio si evidenzia nella campitura e nei segni (vi è una contraddizione tra formato verticale e le campiture nere orizzontali).
È messo in evidenza il fare arte di ognuno di loro: dal segno singolo, al doppio, al multiplo.
Bellinzona diventa luogo di confluenza di un dialogo artistico tra cultura italiana – in cui operano sia Strazza sia Cavalli – e francese, terra di adozione di Hartung e luogo di elezione di Cavalli. La mostra indaga il tema del segno e la contrapposizione tra la pittura e l’incisione.
Hartung sviluppa modi avanguardistici utilizzando strumenti di uso comune quali spatole, raschietti, spazzole dalle setole di ferro già nel ’60, imprimendo una nuova svolta al suo lavoro (utensili ben visibili nella mostra a lui dedicata nel 2008, La quadratura del cerchio, Saint Paul de Vence). Strumenti che hanno forti affinità con quelli utilizzati da Cavalli e Strazza. Oltre a lasciare il segno e a moltiplicarlo, tendono a sottrarre materia.
Negli artisti in mostra la ricerca estetica non è fine a se stessa, ma è la risposta a un connubio tra materia e segno, tra gestualità e controllo, tra corpo e strumento (in Hartung il corpo privato di una gamba durante la seconda guerra mondiale lo costringe a lavorare da seduto sulla sedia a rotelle). L’arte è intesa quale mezzo capace di ridare al soggetto una possibilità di conoscenza del mondo, attraverso le emozioni di un’esperienza pratica e tangibile. Cavalli persegue già negli anni 60 tutti gli elementi presenti nel suo linguaggio artistico futuro. L’astrazione come vigore e incisività dell’immagine, la ripetizione del gesto, il segno che opera per eliminazione (Senza titolo, 1960). La pittura rappresenta ancora vaghi elementi paesaggistici, mentre la grafica di allora si allontana sempre più dalla mimesi, per dirigersi verso l’astrazione, anche se alcuni titoli (Canneto, Fili d’erba, SALA 04) rimandano a immagini naturalistiche.
Alla fine degli anni 50 Strazza afferma di essersi interessato alla pittura di Hartung. Strazza opera già allora sul «fare segni» (Racconto segnico o Segni in attesa). Va ricordato il suo contributo didattico per l’incisione, tra cui il libro Segno e gesto, tecnica dell’incisione, Milano Edizioni Scheiwiller, punto di riferimento di un’intera generazione.
Ciò che accomuna i tre artisti in esposizione è la particolare attenzione per materiali diversi, che raggiungono incredibili risorse espressive ed emozionali nella loro azione e lettura del mondo, per restituirci il piacere di una visita a una mostra degna d’interesse sia per i contenuti sia per il luogo suggestivo in cui si trova.
Intervista a Massimo Cavalli
Massimo Cavalli, quali sono, dal suo punto di vista, le affinità tra il suo lavoro e quello degli artisti Hartung e Strazza, a prescindere dalle tecniche artistiche che vi accomunano?
Hartung è una figura di riferimento per tutta la mia generazione. Con Strazza siamo colleghi. Sono stato nel suo studio a Roma intorno al ’96. Il linguaggio espressivo ci accomuna tutti e tre. Gli strumenti di lavoro e le tecniche sono molto personali. L’accento specifico nel proprio lavoro diventa personale.
A proposito del suo lavoro i critici hanno ricordato il suo interesse per Morandi e per Braque. In che modo questi artisti hanno contribuito alla sua ricerca personale?
In particolare vi è il mio interesse per il lavoro di Morandi che non pratica la litografia, cosa che ho approfondito con interesse. In lui impressiona l’aderenza a un problema specifico, un desiderio molto personale. Braque segna il mio percorso, attraverso la raffinatezza e l’intelligenza del suo lavoro, soprattutto nei disegni. Entrambe le figure sono state di interesse per il mio lavoro. Picasso desta il mio interesse, ma in modo molto più moderato. La ragione di esporre insieme Hartung, Cavalli e Strazza si evidenzia soprattutto nell’uso del linguaggio informale. Ci sono casi in cui il mio lavoro e quello di Strazza sono molto vicini, senza volerlo sono nate delle affinità.
È stato docente per molti anni: in che modo l’insegnamento ha contribuito alla ricerca artistica? L’insegnamento dell’incisione a gruppi di cinque o sei allievi interessati alla materia mi dava, nei vari problemi espressivi, moltissimo.
Le diverse tecniche quali la pittura, il disegno e l’incisione che ruolo hanno nel suo lavoro?
Ho sempre lavorato la pittura e l’incisione come tecniche con uguali interessi. Nella litografia, nella calcografia e nella pittura il problema espressivo fa stato. È la tecnica che diventa il problema espressivo e molto personale.
La xilografia è un ambito poco conosciuto della sua attività. Come mai?
Ho praticato la xilografia a due riprese, nel 1950, nel ’60 e nel ‘70 in modo impegnativo ma ho sempre, sbagliando, distrutto tutto. Nella mia generazione il distruggere diventava necessità espressiva, come pratica contagiosa. Di litografie ce ne sono parecchie, realizzate da uno stampatore di Baulmes, Edmond Quinche, conosciuto grazie allo stampatore Gianstefano Galli, attivo a Novazzano. Mentre da Giorgio Upiglio ho lavorato e imparato moltissimo. Ho stampato lastre di zinco preparate per la litografia. Ho praticato la litografia durante tutto il mio percorso artistico e credo che l’ultima sia del 2011.