Nell’aprile del 1969 l’umanità è sul punto di scoprire un paesaggio remoto, altro; quello lunare. Il 15 aprile in Germania ARD trasmette in tarda serata un film intitolato Land Art, un progetto sperimentale diretto da Gerry Schum. Il filmato, che voleva essere «una esposizione televisiva», che presentava otto opere di artisti americani ed europei, fra questi nomi che diventeranno mondialmente noti, come Richard Long, Michael Heizer e Robert Smithson. Si trattava di opere d’arte effimere visibili soltanto per la durata della trasmissione: un esperimento fallimentare sul piano televisivo, ma per la storia dell’arte quel titolo – Land Art, abbreviazione di landscape art – diventa un marchio di successo nell’arte contemporanea.
A dire il vero negli Stati Uniti un anno prima la critica d’arte Rosalind Krauss aveva già coniato l’espressione «sculpture in expanded field» (scultura in campo espanso) per designare una pratica artistica che impiegava tecniche e materiali anticonvenzionali, nuovi luoghi e dimensioni, con opere realizzate direttamente sul posto. Nell’ottobre del 1968 la memorabile collettiva Earth Works allestita alla Dwan Galley di New York aveva segnato una svolta, presentando un’arte che si sganciava «da forme e ordini duraturi preconcepiti», come scriveva l’artista Robert Morris nel saggio Antiform.
Questa nuova arte – concepita per essere realizzata in un luogo specifico – scardinava il triangolo atelier-galleria-collezionista, presentando nello spazio espositivo spesso soltanto fotografie, progetti o i filmati che documentavano i lavori situati altrove, come la foto di Earth Mound. Quella collinetta di terra realizzata ad Aspen nel 1955 da Herbert Bayer ha reso il grafico austriaco ex insegnante al Bauhaus, uno dei pionieri di quest’arte figlia del minimalismo, che cercava l’essenza, come in Brancusi e Donald Judd. Un’essenza che è sinonimo di semplificazione formale-estetica, ma anche di ricerca spirituale.
Del resto Michael Heizer preferisce considerare l’arte come una religione, piuttosto che un’attività ricreativa: la sua Double Negative – spettacolare e gigantesca scultura in terra realizzata su un altipiano del Nevada – è diventata un’icona della earth art americana, tanto quanto la Spiral jetty di Robert Smithson, spirale di roccia, terra, e detriti, realizzata sul Grande Lago salato nello Utah.
La spirale, o i cerchi spezzati, e il recupero artistico di paesaggi industriali (convinto che l’arte potesse «diventare una risorsa per mediare tra ecologia e industria») sono i tratti caratteristici di quello che è considerato uno dei più importanti teorici fra i land artist. Altra opera icona è quella ideata da James Turrell, autore del monumentale progetto del Roden Crater, in una regione vulcanica dell’Arizona, a cui inizia a lavorare nel 1974. Scultore della luce, Turrell concepisce la sua arte come una sorta di «aiuto allo sguardo»: ogni spettatore («My art is made for one person») si ritrova immerso in situazioni spaziali che prevedono particolari aperture, vivendo così una personale esperienza percettiva del cielo e degli eventi celesti.
La componente contemplativa e la scelta di luoghi sperduti caratterizzano anche i lavori dell’inglese Richard Long, che ha saputo trasformare il «camminare» in un’autentica forma d’arte, fin da A line made by walking del 1967. A Long piace camminare, tanto quanto gli piacciono le pietre, materiale semplice legato alla storia della Natura, che l’artista dispone in linee, croci e soprattutto in cerchi («i cerchi sono universali e senza tempo») per creare opere presentate, a partire dagli anni Settanta, in prestigiosi musei americani attraverso fotografie. Le «camminate artistiche» di Long si trovano in paesaggi lontani come il Nepal o il Sahara, ma anche nelle stanze del padiglione britannico della Biennale di Venezia del 1976 che indagava i rapporti fra arte e ambiente. «La mia opera non è urbana né romantica; è la realizzazione di idee moderne nei soli luoghi adatti ad accoglierle. Il mondo naturale supporta quello industriale. Io uso il mondo così come lo trovo», scrive Long, escludendo ogni interpretazione romantica della propria arte.
Molte delle opere di land art appartengono all’arte concettuale: sono effimere, soggette alla forza del tempo e degli elementi naturali, erose, sommerse o cancellate in pochi minuti, come il vortice di azoto liquido disegnato nel cielo californiano da un aereo nel 1973, progetto di Dennis Oppenheim, convinto «che una delle principali funzioni dell’arte sia quella di forzare i limiti di ciò che si può realizzare».