L’amore secondo Frida Kahlo

Nel suo romanzo Nulla è nero la francese Claire Berest ripercorre le vicende umane e amorose della grande artista messicana
/ 17.05.2021
di Blanche Greco

Un ombrellino parasole blu, un tram rosso e poi un rettangolo di cielo azzurro e uno specchio, sono il prima e il dopo, le pedine di un destino fatale che in un attimo rubò una vita piena di promesse a una giovane donna di diciassette anni, Frida Kahlo, che, temeraria, se ne costruì una nuova e s’incoronò da sola, per sempre, regina di cuori.

Ce lo racconta Claire Berest in Nulla è Nero, (edizioni Neri Pozza) dove è Frida stessa a ricordare l’Incidente: un idilliaco pomeriggio per le vie di Città del Messico con il suo novio Alejandro, e poi quel tram impazzito che si scontra con il suo autobus e in mezzo a tutta la gente ammassata, la trova, la strappa all’abbraccio dell’amato e la trafigge da parte a parte con un corrimano di ferro. Lei è l’unica vittima, la bailarina, come strilla un bambino additandola tra i rottami completamente nuda, coperta di sangue vermiglio e di vernice dorata come fosse un vestito. «Un imbianchino accanto a noi ne aveva un barattolo intero e nell’urto si è sparsa ovunque, soprattutto su di me. Ero io lo spettacolo. La ballerina era quel che restava di me».

Nei mesi che seguirono, mentre il suo corpo in frantumi si andava aggiustando, Frida imprigionata in un busto di ferro, immobilizzata su un letto rigido tra i cactus e le palme del patio della casa di famiglia a Coyoacán, fissava il rettangolo di cielo azzurro sopra di sé pensando all’ombrellino blu perso chissà dove, per il quale quel giorno fatidico era scesa dall’autobus precedente. Oppure, in quello specchio appeso in posizione strategica accanto a lei perché potesse guardarsi intorno senza muovere la testa e dove non c’era mai Alejandro, fissava il suo viso per ore in una sorta di monologo fatto d’incredulità, di lacrime, di rabbia, di solitudine, di desiderio, alla ricerca di una via di fuga.

Di tutte le scommesse che aveva fatto su di sé e il suo futuro, ne rimaneva in piedi una sola: sposare Diego Rivera, el gran pintor, uno dei più famosi pittori del Messico, il suo idolo. Se l’era ripromesso quando aveva quindici anni e andava di nascosto a guardarlo dipingere quei suoi enormi murales e adesso, malgrado lui abbia il doppio dei suoi anni, sente di non poter fare a meno di quell’uomo gigantesco «mezzo pachiderma, mezzo piovra dai tentacoli ammalianti».

Nulla è nero di Claire Berest non è una biografia di Frida Kahlo, ma un romanzo d’amore che racconta quegli incredibili dieci anni dal 1929 al 1939, in cui divampa l’amour fou fra «l’elefante e la colomba», come vennero soprannominati Diego Rivera e Frida, una passione vertiginosa che inonda il diario di lei, le sue lettere, pervade i suoi autoritratti, i suoi quadri e diventa la ragione di ogni suo respiro. Claire Berest ha letto ogni scritto di Frida, ha memorizzato i suoi quadri, i suoi cinquantacinque autoritratti che sono le «stazioni» della sua vita e la evoca, la insegue, la osserva, dà voce ai suoi pensieri, al suo dolore, ne conosce la cura con la quale coltiva il suo tenace sentimento per Diego e ce la rende: scalpitante, indomita, appassionata, straziata «streghetta» capace d’inventare sempre nuovi modi per legarlo a sé e, allo stesso tempo, per liberarsi di lui, sfoderando quel suo talento così particolare che si esplica nel suo modo di vestire, di essere e di dipingere.

Nulla è nero inizia come un fuoco d’artificio a una festa di Tina Modotti dove «le donne sono tutte altere, superbe, libere e dello stesso sangue bollente della fotografa italiana dai tanti amori» e Frida guarda quelle stanze affollate dove tutti ballano, si baciano e l’altissimo Diego Rivera con la sua presenza scenografica «ha dieci donne appese alle sue labbra e alla sua camicia ed è un trofeo da circo che ogni donna vorrebbe infilzarsi nel corpo morigerato», ma lei, piccola e minuta, non può abbandonarsi alla musica e al furore dei suoi vent’anni: «le gambe la reggono appena e sta imparando a fatica a vivere in un corpo divenuto schizofrenico». Ma ne è sicura: il «compagno Rivera» sarà suo.

Il tono del racconto è ora intimo, ora ironico, ora mondano, ora crudo e svergognato come il modo di Frida di bere, o di parlare di sesso, o del suo fisico distrutto, o di affrontare «le distrazioni muliebri» di Diego che ha sposato e che accompagna in giro per il mondo, dove persino i gringos capitalisti vogliono sfoggiare nei loro edifici un murales del grande Rivera. San Francisco, Detroit dove è lei, «la piccola comunista», a conquistare Henry Ford; New York alla corte di Nelson Rockefeller dove la coppia con i suoi racconti rivoluzionari fa faville, ma l’affresco di Diego, bellissimo, provoca scandalo. E poi la profonda amicizia con la fotografa svizzera Lucienne Bloch; Parigi, l’irritazione per lo snobismo francese, Breton, Cocteau, l’incontro con Jacqueline Lamba, Dora Maar, l’attrazione per Marcel Duchamp e gli appetiti di Frida per uomini e donne, queste di preferenza bionde con un grande seno. Ma nella girandola d’incontri e relazioni, politiche e artistiche e erotiche, per Fridita, che seduca Lev Trockij, o che sia stretta nell’abbraccio commosso di Picasso conquistato dai suoi quadri: c’è sempre Diego nella sua testa e questo amore fatale tra carasapo, faccia di rospo, e Fisita, come la chiamava lui, è una sequela di colpi di scena sino alla fine e, come ha scritto una volta Frida riflettendo sui colori, quasi fossero emanazioni vitali, «nada es negro», nulla è nero.

Bibliografia
Claire Berest, Nulla è nero, Vicenza, Neri Pozza, 2020.

Berest è anche autrice, a quattro mani con la sorella Anne, di Gabriële sulla vita di Gabriële Buffet-Picabia, moglie del pittore Francis Picabia e loro bis-nonna.