«La A sta tenacemente all’inizio dei nomi dei continenti – Asia, Africa, America, Australia – sebbene tali denominazioni appartengano a lingue diverse. Forse al di là dell’oggi, in queste parole resuscita la A, sillaba che nella prelingua significava la terraferma».Parlare degli alfabeti, delle singole lettere, ma anche del loro strutturarsi in un sistema che le accomuni, significa percorrere territori che solo in parte possono chiamarsi con i nomi della linguistica e della teoria dei linguaggi. La famiglia è piuttosto articolata, perché il concetto un po’ scappa via: dai pittogrammi, agli ideogrammi, dalla scrittura sillabica a quella strettamente alfabetica, un alfabeto può avere un aspetto iconico che ricordi nei segni i concetti espressi, oppure un approdo semplicemente simbolico, dove il simbolo non c’entra nulla con il contenuto espresso, figuriamoci con un suono. In un paesaggio concettuale così ricco e complesso era chiaro che la letteratura e anche la grafica e la pittura nuotassero con agio e profitto e fa un bel colpo Lino Di Lallo, con questo suo Alphabeto dell’editore Il Formichiere di Foligno, a raccogliere con entusiasmo di colore, forme e testi una sorta di antologia alfabetica in forma di libro.
Il libro di Lino Di Lallo presenta le lettere, i loro colori e le loro forme: l’alfabeto è presentato nelle sue possibili espressioni linguistiche, ma anche in quelle grafiche. La serie si apre appropriatamente con le parole di Roland Barthes: «La scrittura è fatta di lettere, e sia. Ma di che cosa sono fatte le lettere?». E poi Di Lallo, qualche pagina più in là: «se è dunque vero che i conati imitativi sono improduttivi e che l’anima, come afferma Gadda, si governa per alfabeti, pare più che opportuna una rielaborazione creativa delle lettere dell’alfabeto». E allora via con la A torre Eiffel, «tenda da campo dell’alfabeto» (gli autori, alcuni classici e altri no, li trovi direttamente il lettore), «l’abbraccio di due amici che si stringono la mano». E la B? La «B è la balia dell’alfabeto», «non smette mai di scoccare la sua freccia». «D è il dorso; B è la D sulla D, il dorso sul dorso, cioè la gobba». «Soltanto la b della effe può farsi beffe». La sequenza alfabetica orizzontale ha, a pagina 161, un tonfo improvviso dopo la m, siamo «sull’orlo del nabisso». La O, dell’alfabeto, è lo sbadiglio. «E la S? Ss! può sentirti. E la S e la T? St! possono sentirti». «O – Che sorpresa! che meraviglia! Ma che sorpresa grata! Che schiettezza rozza, ma maschia in quella lettera!». E la Z? «Si può spaziare da A a Z. Ma dopo?». Già, e dopo? Dopo è finito il libro.
I libri strani e particolari come questo pongono subito, nella vertigine data da un quasi allucinato piacere di lettura, un problema fondamentale: come si legge, proprio fisicamente, un libro di questo tipo? C’è una mappa, un percorso dato dal succedersi alfabetico delle lettere: si comincia con la a, si procede con b e una via – per carità! – alla fine la si trova. Poi però il lettore riemerso da un disorientamento iniziale si scoprirà a compulsare pagine avanti e indietro, dapprima bramoso di trovare un indice-logica che gli dica «sì, parto da qui arrivo lì passando per là», poi costretto a fermarsi da sirene grafiche e contenutistiche di vario tipo. Ha note a piè di pagina che lo riportano con i piedi per terra, ha il conforto di qualche autore caro, magari anche di brani e testi che riconosce. Ma il pregio di un libro come questo è dato anche dalla ginnastica cognitiva cui il lettore, anche il più smaliziato ed esperto, è costretto a praticare. Non ha un principio e una fine, come i libri fantastici di taluna grande letteratura classica; non è lettura da caminetto o da comodino; induce a volerci tornare, ad aprire pagine in faccia ad amici, a maneggiare, a puntarne passi con le dita, a consumare margini, a regalarlo.