Se la vicenda creativa di un artista, per essere compresa appieno, non può essere scissa da quella personale, questo è ancor più vero parlando di Gianfredo Camesi. «Autentico autodidatta», come lui stesso si definisce, Camesi ha sempre fatto confluire nel proprio lavoro le molteplici suggestioni ricevute nell’arco di un’intensa esistenza in continuo movimento.
Quella dell’artista ticinese è stata infatti una vita da nomade, caratterizzata da viaggi alla scoperta di luoghi e di culture da cui lasciarsi ispirare. Tanti sono i paesi e le città dove Camesi ha vissuto o soggiornato: Ginevra, Parigi, la Provenza, l’Italia, Bochum, Vienna, Colonia e poi ancora Amsterdam, il Brasile (dove nel 1973 rappresenta la Svizzera alla Biennale di San Paolo), l’America del Sud, Tokyo e New York.
Eppure da questo suo assiduo errare, nonostante possa quasi sembrare un controsenso, è sempre uscito rafforzato il rapporto con il proprio paese d’origine, Menzonio, nella Val Lavizzara, un territorio montano dal paesaggio solido e austero che per Camesi è stato ed è tutt’ora il perno attorno a cui far ruotare la propria storia. È qui che l’artista fa costantemente ritorno per rinnovare il suo linguaggio e per dare vita alla maggior parte dei suoi cicli di opere. Menzonio è la sua fucina creativa per eccellenza, il luogo dove rielaborare tutto ciò che viene raccolto in giro per il mondo al fine di dargli una nuova, personale, forma. Non è un caso che la coerenza e il rigore che contraddistinguono i lavori di Camesi siano anche i tratti distintivi della personalità stessa dell’artista, mutuati a loro volta dalla natura esigente e primitiva della sua terra natia.
Risoluto, meticoloso, quasi dogmatico nel dare corpo alle proprie intenzioni, Camesi, oggi ottantaduenne, ha sviluppato una cifra stilistica che, seppur ben radicata nel suo tempo e aperta alla ricezione di impulsi differenti, non può essere accostata ad alcuna tendenza o movimento. Essa si qualifica piuttosto per la particolare impronta soggettiva che scaturisce dal profondo legame che l’artista ha con l’ambiente che lo ha visto nascere e dalla determinata capacità, quasi un’esigenza, del suo muoversi come singolo pensatore.
Camesi descrive così una traiettoria specifica in cui, se si possono comunque ravvisare affinità con il Minimalismo, con l’Arte Concettuale o con la Land Art, si ritrovano i segni del suo percorso individuale, a partire da quell’approccio progettuale all’opera d’arte che deriva dall’apprendistato nello studio locarnese di architettura di Oreste Pisenti, dove, giovanissimo, l’artista ha iniziato a muovere i primi passi. A rendere peculiare il suo linguaggio, poi, è la geometria personale che Camesi ha diligentemente edificato nel corso del tempo, un vocabolario di segni e immagini dalla profonda valenza simbolica che attraversa tutti i suoi lavori. Figure come il punto e la linea, il quadrato e il cerchio, la croce e la freccia sono diventati le componenti essenziali di un lessico ancestrale che anima la produzione dell’artista, plasmando rappresentazioni cariche di un forte potenziale metafisico.
Nei propri cicli di opere, Camesi rielabora questi segni fondamentali, proponendoli all’osservatore secondo schemi e proporzioni di derivazione sacrale, riallacciandosi a quella secolare tradizione che concepisce la geometria come estrinsecazione del divino. Ogni elemento si pone così come un frammento che rinvia all’unità e all’armonia virtuale della totalità a cui appartiene.
Ecco allora che l’arte di Camesi rivela la sua vera natura, quella di essere espressione del desiderio di comprensione di sé e della realtà che ci circonda. L’artista focalizza la sua attenzione sulla ricerca di una connessione con le leggi che governano le cose attraverso la creazione di opere che diventano veri e propri spazi assoluti in cui microcosmo e macrocosmo si incontrano: «l’universo è in noi e il mondo è la sua immagine», è la frase che spesso Camesi recita, condensando in poche parole l’idea di una consonanza tra l’individuo e il tutto.
Nella mostra che il Museo d’Arte di Mendrisio dedica all’artista ticinese si coglie molto bene la volontà di Camesi di fare del proprio lavoro uno strumento per esplorare ed esprimere simbolicamente il rapporto tra l’uomo e il creato. Il progetto espositivo, che lui stesso ha concepito interamente seguendolo nella sua realizzazione con la meticolosità che lo contraddistingue, diviene così una sorta di cammino che lo spettatore viene invitato a percorrere per instaurare un dialogo con il mondo. Le opere di Camesi, dall’impeccabile rigore formale e dal sofisticato gioco di equilibri, hanno la capacità di sintetizzare l’incontro di forze spazio-temporali e di energie cosmiche, quelle che regolano l’esistenza umana e di cui l’artista sa cogliere le correlazioni e le alchimie recondite.
Le installazioni radunate in mostra, tra cui figurano alcuni dei capisaldi della produzione di Camesi, narrano la storia di una vita dedicata all’arte intesa come itinerario di conoscenza. Con la presenza di opere che vanno dalla prima maturità agli anni più recenti, passando anche per cicli finora rimasti inediti, ciò che l’esposizione riflette chiaramente è l’esigenza dell’artista di creare un percorso fluido e compatto caratterizzato da continui intrecci interpretativi che rimandano a un’idea di circolarità.
Percorrendo le sale ci si accorge di come, nel lavoro di Camesi, l’esperienza estetica sia condizionata, e in un certo senso subordinata, a un apparato simbolico che va inteso come manifestazione delle entità dell’universo. La freccia, segno-totem presente nell’opera Point Vital e nell’installazione collocata nel chiostro del Museo, è visualizzazione dello Spazio. La croce, nel ciclo Espace mesure du Temps disegnata ripetutamente sulla tela con il dito indice immerso nel colore, è traccia del Tempo, mentre nella serie di matite su carta dal titolo Vacuité si fa espressione di un Vuoto inteso non come assenza ma come origine di tutte le forme. Nei Retable, trittici d’altare dal bianco assoluto, è invece la Luce a emergere, così come in Forme de Lumière, lavoro in cui Camesi graffia la materia per sprigionarne la luminosità nascosta. In Chemin du Corps, l’opera forse più significativa della rassegna, è ancora il Tempo a essere protagonista: sopra la massa pittorica di colore nero, posta su una lunga tela, compaiono le impronte del camminamento dell’artista, vestigia di un passaggio che diventa memoria esplicita dell’azione, del momento trascorso.
A fine mostra, poi, c’è un dittico che compendia bene il pensiero di Camesi. Una delle sue Terre, fotografia su tavola del suolo naturale, viene accostata a un Cielo, tela dipinta a olio di un vivido azzurro. Sotto di loro, a pochi centimetri dal pavimento, una livella, a simboleggiare il lavoro umano. È l’incontro tra materia e spirito nella ricerca di un Assoluto e di un Infinito che passano dalla mano dell’uomo.