Sono passati 50 anni dalla morte di Dino Buzzati (nella foto), scrittore del Deserto dei tartari, il suo libro maestro, ma anche de Il segreto del bosco vecchio e di Un amore, scrittore, mirabile reporter e raffinatissimo giornalista di nera al «Corriere della Sera», di cui fu firma autorevole, autore del Poema a fumetti e con la vena di pittore metafisico di quadri fantastici e inquietanti. Per questo anniversario la sua casa editrice, Mondadori, ristampa in edizione aggiornata e in grande formato Buzzati. Album di una vita tra immagini e parole, oltre 400 pagine biografiche di fotografie, lettere, pagine di diario, articoli giornalistici e molto altro, curato da Lorenzo Viganò, anche autore di un testo narrativo che fa da collante ai diversi repertori di una autobiografia montata attraverso le fonti archivistiche. È un vero e proprio itinerario biografico che mescola moltissime immagini, soprattutto in bianco e nero, documenti di archivio, dagli anni giovanili vissuti tra San Pellegrino Terme e Milano fino a quelli della vecchiaia e della morte, avvenuta il 28 gennaio 1972, «mentre Milano è avvolta da una bufera di neve che ha coperto tutta la città».
Già a tredici anni, in compagnia dell’inseparabile Illa, Arturo Brambilla, talento precoce, Buzzati cominciò a scrivere poesie, a disegnare, a leggere i grandi romanzieri dell’Ottocento, ad amare la montagna, e invaghiti dell’antico Egitto i due amici scrivono addirittura insieme una lettera geroglifica. Al Liceo Parini di Milano, come confessa in uno scritto, scopre la grande letteratura «Nella mia giovinezza, nella mia adolescenza, ci furono degli inglesi: Oscar Wilde. Poe (…) Naturalmente un po’ di Stevenson, Conrad, eh, Conrad, parecchio. Dickens anche», e naturalmente Franz Kafka al quale è stato spesso associato. Veste elegantissimo, in modo rigorosamente classico, anche quando è in divisa da sergente al campo militare estivo del 1927, o in giacca scura, cravatta e cappello di feltro in un ritratto a Venezia dell’anno dopo quando presenta domanda di assunzione al «Corriere della Sera», dove entrerà nel luglio 1928, addetto al servizio di cronaca; nello stesso periodo riesce a laurearsi in Giurisprudenza.
Nel 1933 esce il suo libro d’esordio, Bàrnabo delle montagne, l’archetipo di tutti i libri successivi e della sua letteratura, al quale seguirà Il segreto del bosco vecchio, «l’ho scritto veramente nella condizione psicologica migliore, vale a dire, senza pensare neanche lontanamente alla possibilità che il mio scritto venisse pubblicato. Cercavo di fare una cosa che piacesse a me, come un bambino che si mette a fare un giocattolino di legno», confesserà. Ma a metà degli anni Trenta comincia a lavorare a «quella cosa in gamba», cioè Il deserto dei tartari, che scrive ogni giorno tornato nottetempo a casa dalle tre di notte fino all’alba. Il manoscritto arriva nelle mani di Leo Longanesi, che decide di stamparlo da Rizzoli nella sua collana Il sofà delle muse. È un successo. Nell’Album mondadoriano si possono guardare anche le foto del giornalista inviato dal «Corriere» ad Addis Abeba, fotografato con il suo attendente Ghilò e con il fucile in mano vicino a un suo trofeo di caccia, «un gazzellone abbattuto da me durante il giro in Dancalia», oppure sull’incrociatore Fiume o sul Teulada nel 1940 quando partecipa alla battaglia di Capo Teulada come corrispondente di guerra. Altre foto rigidamente in bianco e nero lo ritraggono al tavolino in redazione, serioso e concentrato, quando prende appunti sul suo taccuino, oppure a scalare le vette in cordata sulle Dolomiti del Brenta o a San Martino di Castrozza, un’altra sua passione, come quella per i cani, tra i quali il boxer Napoleone.
Nonostante il successo e la popolarità del lavoro di scrittore e giornalista, Buzzati «rimane sempre ossessionato dal suo pessimismo creativo», come scrive Viganò, «non riesce a essere mai soddisfatto di sé, e fatica a godere dei successi che ottiene». Lo stesso curatore spiega che il libro «non esaurisce il ritratto dello scrittore bellunese, tuttavia vuole essere una chiave per entrare nel suo mondo, umano e artistico, sfogliando l’Album della sua esistenza, un viaggio intimo nella storia e nella poetica, nelle amicizie e negli amori, nei successi e nei tormenti di uno dei più significativi e apprezzati autori del Novecento». Uno che aveva le idee chiare quando si metteva alla macchina da scrivere: «Quando scrivo la mia massima preoccupazione è di non rompere l’anima al lettore, sono del parere di Voltaire: qualsiasi genere letterario è ammesso tranne il genere noioso».