«Questo vecchio libro è un diario», scriveva Ungaretti nel 1931. «L’autore», continuava, «non ha altra ambizione, e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre, se non quella di lasciare una sua bella biografia».
Nel caso di Alessandro Martini, studioso e poeta che, oggi, consegna al lettore la sua ultima raccolta, l’asserzione risulta calzante: Biografemi (ANAedizioni, 2017) è infatti un dichiarato viaggio nei territori della memoria. Tale peculiarità non è nuova al percorso dell’autore: già in quello che si presentava come un esordio, in un certo senso, inaspettato o tardivo – la sua prima silloge, Fior’, frondi, herbe, è del 1996 – è ravvisabile un tono diaristico, che sembra volersi fare carico dello sfumare dei giorni.
Ora, però, dopo Restauri (UniPrint, 1999) e Distrazioni (ANAedizioni, 2014), Martini assume una direzione decisamente programmatica. In Biografemi è di fatto evidente l’intento di sviluppare, ulteriormente, la scrittura in nome di una chiara necessità: dare respiro all’universo perduto dei padri. Per farlo, l’autore si affida al componimento lungo, come avvenuto in Tra casa, chiesa e scuola (breve pubblicazione del 2015, sempre edita da ANA), ora con più insistenza.
È bene segnalare, tuttavia, che Martini avvicina l’apice di quella «infinita piramide rovescia di gente» – per usare un’espressione del Bianconi dell’Albero genealogico – con la giusta cautela; nel suo discorso evita quindi gli scivoloni retorici, altisonanti, e risponde unicamente al proprio bisogno espressivo.
In questo senso, le cose sono in chiaro dal principio, con la bella poesia A Tristan, dal nonno: «Adesso che invecchio / sempre più mi son cari i libri piccoli / provvisti di figure, così come son cari / alla mia ultima amica, composti / di frammenti, frantumi, fogli d’album, / magari in forma di abbecedario. / Vita e destino è troppo. / Non so se arrivo in fondo».
E piccolo, attraversato da colori e veline, è, appunto, Biografemi già nella sua veste editoriale. Consta di trentanove testi, suddivisi su quattro rami, e si apre con la sezione eponima del libro; qui, quasi a proseguire il sopraccitato brano, Martini compone il principio del proprio affresco familiare con Finestra, poesia dedicata all’immagine di «nonno Adeodato» nel giorno della «mazza».
Non poteva mancare, poi, la figura del padre Plinio, autore del celebre Il fondo del sacco. Varie sono le istantanee che immortalano lo scrittore-genitore con il figlio, come quella, un po’ kafkiana, offerta da Lezioni di nuoto: «Non impara a nuotare al Puz Bél fra i coetanei / e neanche nel Bavona con suo padre / che mentre lo sorregge lo dichiara / da sé troppo dissimile» – viene appunto da pensare alle descrizioni che il narratore praghese fece di sé, mingherlino, sulla spiaggia, accanto alla mole paterna.
Ma il ritratto più intenso della coppia – forse uno dei migliori della raccolta – è in Dopo scuola, dove il poeta ripercorre le tappe del proprio apprendistato affettivo ricordando le uscite col padre lungo il fiume: «dovevo stargli dietro / a qualche passo di distanza, / senza far troppo chiasso / e spaventare i pesci. / Peripatetizzando su quel greto / tra un lancio e l’altro mi catechizzava. / L’aria intensa, la luce calante, / l’acqua tranquilla e buia nelle lanche, / precipitosa e vitrea tra i massi / solo di poi mi avrebbero rapito / in solitudine».
Attorno alla visione del fiume, zona dell’anima e tempo sospeso a cui si torna in quella che Martini definisce «ultima veglia dei sensi», ne appaiono di nuove, alcune dedicate ancora al «Maestro di Cavergno», altre a fantasmatiche presenze: ecco apparire padre Beda, insegnante di pianoforte che al giovane «mantenne / ferme le incerte mani alla tastiera», oppure Giovanni Pozzi, storico professore dell’Univeristà di Friburgo.
Come accennato, altre sezioni seguono a quella dei biografemi: Sottolineature, Ultime distrazioni, Vecchi madrigali e primi poemetti. La prima riunisce testi scritti a partire da precise suggestioni letterarie, la seconda è un chiaro riferimento allo spirito della penultima raccolta di Martini (Distrazioni, appunto), mentre l’ultima contiene lavori di epoca diversa – dal 1995 al 1996.
Infine, chiude il libro una poesia in francese, CV pour Marie-Jeanne, che un poco ricorda il noto Scrivere un curriculum di Wislawa Szymborska. Rivolgendosi alla compagna e, in fondo, ancora al piccolo Tristan, Martini stila il proprio sintetico bilancio senza – per dirla col Premio Nobel polacco – evitare di parlare con se stesso. Nell’ultima parte della composizione, passati in rassegna i nodi della vita come grani di un rosario, è sempre l’idea dell’infanzia assillante a emergere e farsi scrigno del mistero di ogni cosa.
Un libro intenso, quindi, questo Biografemi – un libro che, senza cedere nei propri genuini impulsi, pare accarezzare i margini del profilo più incerto: quello del tempo concesso alla fragilità del vivere.