La vita secondo Zerocalcare

La prova artistica del fumettista romano durante la quarantena
/ 25.05.2020
di Simona Sala

Ci mancherà qualcosa della quarantena? Avremo nostalgia per qualche aspetto del lockdown? Mentre qua e là si sentono (e vi è una certa ragion d’essere in tutto ciò) già le prime persone che rimpiangono il silenzio, l’aria rarefatta e il recupero di una certa intimità famigliare (laddove è stato possibile, va da sé: per molti, infatti, si è trattato di un periodo complicato, dove più che alla contemplazione ci si è dovuti dedicare a uno sfiancante jonglage organizzativo, a una difficile inerzia forzata o alle incertezze legate al futuro), vi è un appuntamento di cui con tutta probabilità più di uno sentirà la mancanza. Stiamo parlando del rendez-vous settimanale con Michele Rech, un nome che ai più non dirà molto, ma che se associato al nickname Zerocalcare saprà scatenare giustificati moti di entusiasmo e ammirazione.

Propaganda Live (La Sette, venerdì sera) è una trasmissione che piace molto grazie all’aplomb e all’understatement di Diego Bianchi, uomo che della semplice t-shirt con scritta è riuscito a fare una sorta di corporate identity, ma siamo certi che negli ultimi mesi è piaciuta ancora di più, per la presenza puntuale (in tuta a tre strisce) di Zerocalcare. Ogni settimana, il timido trentaseienne si è infatti presentato in studio per mostrare il suo particolare diario, una striscia animata intitolata Rebibbia Quarantine, in cui si cominciava a ridere già durante la sigla, «sgraffignata» a un altro romano de’ Roma, il giovane cantautore Giancane (un nome, una promessa): «Adesso cosa farò? / Di certo qui morirò (...) / La fame d’aria che sale, / l’ansia cresce e fa male (...)/ Lingua asciutta, /è partita la tachicardia / È solo ipocondria / Questa mia nostalgia /Ma è solo ipocondria / Questa malinconia».

La quarantena di Zerocalcare è stata né più né meno come quella di milioni di italiane e di italiani, costretti in casa dal lockdown più grande della storia dell’umanità, per di più pattugliati giorno e notte dalle forze dell’ordine «che si sentono come i custodi della Rivoluzione morale in Iran» e nel nome del nuovo ordine trattano quindi i semplici cittadini che sgarrano alla stregua dei peggiori criminali. Protagonista della striscia (e come poteva essere altrimenti?) è lo stesso Rech-Zerocalcare, che con un’ironia al vetriolo coniugata a una serie di riflessioni filosofiche, è riuscito, settimana dopo settimana, a ridarci un pezzo della nostra storia che non contenesse solamente la cronaca di quanto deciso giornalmente dalla politica, ma anche di quanto pensato, provato e sperato, magari di nascosto, da ognuno di noi.

Chi non si è infatti ritrovato a vivere sintonizzato su un altro fuso orario, che non deve essere necessariamente quello di Belo Horizonte come succede al fumettista italiano, ma che comunque ha portato a infischiarsene di orari, scadenze e norme sociali? E chi ancora non ha sviluppato un (nefasto) attaccamento che spesso rasentava la dipendenza, verso tutto ciò che avesse il sapore del Bollettino delle 18 della protezione civile, o delle affollatissime (di oratori) conferenze stampa federali e cantonali? Chi non ha provato moti di gioia inattesi di fronte a messaggi da parte di personaggi radiati dalla propria vita da tempo immemore, ma che di colpo diventano un simbolo di fratellanza universale e di speranza? E chi ancora, durante i primi giorni di reclusione, sulla scia di altissime ambizioni covate per una vita intera, non si è sentito pronto a dichiarare al mondo che grazie a questa sfida inedita avrebbe cominciato a vivere la vita in modo diverso e più consapevole (iniziando così a cucinare il pane, a fare tecniche di rilassamento, giochi di famiglia e quant’altro)?

Zerocalcare ha raccontato tutto questo, disegnandosi come in realtà è: stralunato, occhi sgranati, stupito di fronte a un mondo per lui spesso incomprensibile, rannicchiato sul divano di casa, lo sguardo inchiodato a turno alle news che scorrono in tv e a tutto il resto che invece passa sui nostri smartphone, nel segno di una devastante infodemia.

Del mix esplosivo tra una grande capacità analitica, un’ironia pungente e il tipico essere coatti dei romani coatti (e per questo un luogo come Rebibbia ha ragione di diventare ombelico del mondo), avevamo già avuto sentore in passato, con opere come Kobane calling (la cui prima parte apparve nel 2015 su «L’internazionale» e che è stato nuovamente aggiornato proprio in queste settimane), dove al terrore per l’avanzata dell’ISIS si mescolano riflessioni importanti sulla parità di genere e considerazioni esistenziali, o il più recente (2019) La scuola di pizze in faccia del professor Calcare, che sul retro di copertina riporta un grillo che annuncia: «Impara a vivere. Ti insegniamo noi. Prenota in anticipo il tuo quadrimestre. Accademia di mitomania e direzione delle vite degli altri».

Qualcuno ha detto che alla fine della quarantena dovremo tutte e tutti entrare nell’ottica di «What happens in quarantine stays in quarantine» o, per dirla con le parole di Zerocalcare, dovremo farci una ragione del fatto che tutto questo non è stato che una «grande ubriacatura generale» e quindi, ora che siamo sobri, entriamo in una fase di amnistia che annulla quanto detto, fatto e deciso (per noi) fin qui.

Probabilmente sono i politici e le istituzioni stessi a suggerircelo. Ci viene solo da dire che, raccontato da Zerocalcare, è un po’ più sopportabile.