Un documentario costruito come un thriller per andare a scoprire i retroscena di un caso che fece scalpore. È W – Ciò che rimane della bugia di Rolando Colla, in uscita nelle diverse sale del Ticino in questi giorni. Il lavoro del cineasta, noto per la serie di corti Einspruch e i lunghi Le monde à l’envers – Una vita alla rovescia, Oltre il confine, Giochi d’estate, Sette giorni fino a Quello che non sai di me (girato a Bellinzona), è prodotto ancora una volta da Elena Pedrazzoli con la Peacock Film.
«W» è costruito su quattro storie, più prologo ed epilogo, che ruotano intorno a un personaggio sconcertante. Si parte da Binjamin Wilkomirski, che nel 1995 pubblicò l’autobiografia Frammenti dove raccontava come da piccolo fosse scampato ad Auschwitz, per arrivare a Bruno Dössekker, bambino traumatizzato da ripetuti abbandoni. Colla rende la complessità delle vicende e dei personaggi senza giudicare, raccontando un’impostura e tante ambiguità e assurdità, con immagini d’archivio, interviste incredibili e animazioni in bianco e nero.
Colla, come ha lavorato per questo documentario?
Ho impiegato sette anni per fare il film, più uno di montaggio. Questo tempo era necessario, non credo ai documentari fatti in tre mesi. Wilkomirski era stato stigmatizzato e si era ritirato dalla scena pubblica. Era terrorizzato e mi sono dovuto guadagnare la sua fiducia, nel frattempo trovavo materiali e persone. Volevo raccontare il successo del libro e come tutti avessero creduto alla sua storia - del resto anche lui ci credeva - e la caduta dopo la scoperta. C’è anche un tentativo di capire la persona e credo che nella quarta parte ciascuno si possa fare un’idea. Volevo dare una dimensione umana. Per questo ho proceduto per tentativi, seguendo varie strade e ribaltando più volte la storia. Il primo montaggio era di quasi tre ore, ho tagliato molto per arrivare alla versione definitiva.
Da cineasta di lingua italiana come vede il cinema ticinese che negli ultimi anni è cresciuto con Niccolò Castelli, Fulvio ed Erik Bernasconi, Bindu de Stoppani?
Li seguo, vedo i loro film, anche se abbiamo pochi contatti. Sono interessanti e sono contento per Castelli e il successo di Atlas, è un bell’esempio, bisogna andare avanti, anche se lavorare per il cinema è più difficile ed è più semplice realizzare le serie.